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mercoledì 26 settembre 2012

SIAMO ALLA FASE FINALE DELLA CRISI

L’anno vissuto stabilmente  a un passo dall’implosione dell’euro minaccia di concludersi con un'accelerazione della tendenza con la quale si è svolto.
E’ trascorso meno di un mese dall’annuncio delle Banche Centrali di interventi eccezionali di politica monetaria, ma già gli effetti si sono esauriti.
Viene da chiedersi quali altre misure, oltre quelle predisposte, i mercati possano ancora attendersi.
I cittadini assistono preoccupati  al progressivo deterioramento economico e sociale conseguente  a cali della domanda e dei consumi mai visti dal dopoguerra del secolo scorso. Proteste di piazza e disoccupazione dilagano.
La fiducia in banche e governi non è mai stata così bassa in quasi tutta Europa.
Stiamo probabilmente avvicinandoci alla fase finale e più acuta di questa lunga crisi.
Per questo basiscono le reiterate e grottesche dichiarazioni di ottimismo che annunciano l’uscita dal tunnel ,pronunciate a vanvera sull’onda delle megainiezioni di liquidità delle banche centrali. Iniezioni di denaro efficaci ormai quanto quelle di morfina nei malati terminali.

Si rafforza la tendenza, animata dall' inarrestabile forza in direzione del ristabilimento dell’equilibrio di sistema, di implosione dell’euro, di fatto già una moneta in frantumi, tenuta insieme solo dalla caparbietà di banchieri centrali vittime del loro stesso delirio di onnipotenza convinti di poter agire per evitare il peggio.
Ma la crisi è ancora più estesa dell’area euro. In pericolo è l’intero sistema finanziario globale.
Forse è ormai troppo tardi per evitare il peggio. Ove per peggio dobbiamo intendere il ristabilimento delle condizioni di equilibrio cui, qualsiasi sistema dinamico, anche quello finanziario economico, tende naturalmente.
Troppo numerose e troppo grandi nella loro portata sono state, in tutti questi anni, le infrazioni alle più elementari regole del libero mercato, per non attendersi un ritorno traumatico, all’equilibrio.
Una demenziale valutazione del rischio nella concessione del credito a Stati e privati, alimentata ancora nel presente con tanto scriteriate  quanto illusorie misure non convenzionali di politica monetaria, con tassi tenuti artificialmente bassi e liquidità a gogò, ha alimentato e continua ad alimentare  comportamenti predatori e truffaldini, che, in condizioni normali, sarebbero stati neutralizzati dal mercato stesso, in assenza di tutti gli interventi di salvataggio, cui siamo stati abituati fin dai giorni di LTCM in Usa, quando si comprese che il fallimento di un singolo istituto,  poteva scatenare una crisi sistemica globale ma nessun serio provvedimento di contenimento di tali evenienze fu intrapreso.  In quell'anno, il 1998, per schivare quel rischio, furono poste le basi per quel sentimento di onnipotenza misto a impunità che, da allora, induce troppi attori di mercato a osare oltre ogni ragionevole limite e con denaro preso in prestito con il sistema della leva.
Quell’intervento, preso sull'onda dell' urgenza, allo scopo di evitare il panico dei mercati nel breve termine, costituì il criterio decisionale per affrontare tutte le crisi future. Fare tutto per evitare il panico nel breve termine non curandosi di porre, in tal modo, le basi per un disastro di proporzioni ben maggiori nel lungo periodo.
Quel lungo periodo coincide, nostro malgrado, con il nostro futuro più o meno prossimo.
Si è così creata un’impalcatura economico finanziaria tanto alta quanto fragile, sulle basi dell'errata valutazione del rischio perché tanto c'è sempre un banchiere centrale pronto a salvarti se sei tanto grosso da danneggiare potenzialmente tutto il sistema. Questo il salvacondotto consegnato nelle mani dei predatori più spregiudicati, liberi di speculare senza limiti, potendo godere dei guadagni e annullare le perdite. Soggetti specializzati  nell'oltrepassare oltre ogni limite e ogni sana responsabilità. Troppi comportamenti sempre più diffusi che hanno determinato a livello macro squilibri colossali annullabili solo da un rovinoso crollo di tutto il sistema, in seguito al quale poter rifondare tutto su basi etiche ancor prima che economiche sostenibili.

 Tutti gli effetti immorali e truffaldini sono stati ulteriormente alimentati fino ai giorni nostri.
Cos’altro dire delle  Outright Monetary Transactions (Operazioni Monetarie dirette) o dell’allentamento dei requisiti per il collaterale, cioè i titoli a garanzia depositati dalle banche europeee  dei Paesi sotto assistenza alle aste di rifinanziamento dell’Eurotower, o della sospensione dell’applicazione di una soglia minima di rating per i titoli depositati nel caso in cui si tratti di strumenti di debito emessi o garantiti dal Governo di Paesi sotto l’ombrello dello scudo antispread.  Il che, in parole semplici, vuol dire che pur di finanziare le banche dell’eurosistema, la Banca Centrale europea è disposta a riempirsi la pancia di merda – tale è la montagna di crediti inesigibili che quelle banche possono dare in garanzia in cambio del denaro che ricevono- pregiudicando irrimediabilmente credibilità e autorevolezza della Banca Centrale Europea. Come dire che se qualcuno è tecnicamente fallito, anziché prendere atto della situazione, si modificano i criteri in base ai quali poter continuare a somministrargli prestiti.
A ulteriore testimonianza della fallace  politica monetaria della Bce, portata da Draghi sulle medesime posizioni e i medesimi errori della Fed Usa, resta il differenziale di rendimento tra i Btp e i Bund sempre pericolosamente lontano dai livelli di equilibrio ricordati anche dalla Banca d’Italia, nonostante l’annuncio del salva spread.


Nel frattempo, gli Usa navigano allegramente su un debito pubblico enorme e in crescita che fingono di ignorare, evitandone ogni minimo accenno nella campagna elettorale tra i due sfidanti Barak Obama e Mitt Romney,  convinti come sono che il ruolo del dollaro come moneta rifugio globale e dello scambio di materie prime, possa durare in eterno, nonostante La Federal Reserve, ne abbia stampato una quantità tale da riempire l’oceano pacifico..



                                                                                Enzo Picard

domenica 16 settembre 2012

ECONOMIA  SCENARIO  FUTURO  VERSO UN MONDO DIVERSO


 


IL POTERE DECISIONALE NELLE MANI DELLE BANCHE

Siamo entrati nella fase finale della peggiore crisi finanziaria ed economica  del sistema delle società aperte e di libero mercato.

E’ stata una crisi profonda, giunta dopo anni di eccessi materiali e svalutazioni morali prima ancora che monetari.

Ogni grande trasformazione avviene attraverso una crisi, l'esito dipende dalle decisioni prese.  Il  transito verso il nuovo è quasi invisibile nella quotidianità.


Nella fase finale ci siamo entrati perché le uniche istituzioni al di sopra delle nazioni, in grado di agire in unità di intenti e indipendemente dalla volontà popolare, hanno trovato un accordo soddisfacente e hanno assunto una decisione capace di imprimere una vera svolta alla situazione.

Le banche centrali di Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Cina e, da ultima, la Banca centrale europea attueranno, ciascuna secondo  modalità proprie, politiche monetarie ultraespansive.

La Banca centrale europea ha annunciato il varo del cosiddetto “piano salva spread”.  

L’impegno dichiarato della Bce di sterilizzare gli acquisti dei titoli di Stato dei Paesi in crisi, risponde più all’esigenza di salvare la faccia alla Bundesbank di fronte ai tedeschi, che a un’indubitabile efficacia anti inflazionistica.

La strategia d’uscita dalla crisi predisposta, ben si adatta al tempo delle campagne elettorali.  Stampare  soldi per risolvere problemi troppo complessi.

Il cerchio così è stato chiuso.

Tutto sembra andare bene. I mercati rinvigoriti dalle  promesse d’abbondanza di denaro festeggiano, gli spread calano. Ma non tutti. Calano meno quelli dei titoli non compresi nel salva spread con scadenza superiore a tre anni. Calano soprattutto perché  si è impennato il rendimento del Bund tedesco, spia segnaletica di uno spostamento del rischio dalla periferia al centro dell'eurozona.  

Il rischio complessivo, anziché diminuire è aumentato.

Certo, l'apparenza è un altra. I mercati festeggiano. Le borse salgono. Ma, dobbiamo chiederci: perché i mercati sono euforici? 

Attendono il diluvio di soldi delle banche centrali. Fingono, per il momento, di credere all'esistenza del pasto gratis,  fingono di non sapere che, alla fine, il conto  qualcuno lo deve pagare anche se ancora non lo sa, perché nessuno lo ha avvertito.  Sanno anche che c’è tutto l’interesse a coprire con un bel telo colorato l’intero periodo preelettorale, stabilizzando nel breve l’economia e, con essa, calmare i cuori sempre più agitati di elettori preoccupati.

Frattanto i dati relativi all’economia reale segnalano rallentamento in quasi tutto il mondo, dagli emergenti emersi agli Usa, all'Italia e allla Spagna sono catastrofici ( la contrazione del Pil in Italia sarà superiore a -3%, molto lontano dal -1,2% inizialmente preventivato dal governo, amara costatazione di chi lo ha previsto, già al tempo della manovra,  e scritto  in questo blog).


MA L'USCITA DEFINITIVA DALLA CRISI CI SARA'

Come usciremo dalla crisi? Se sosteniamo la tesi che le politiche monetarie espansive sortiranno effetti di breve periodo e l’economia va male, come facciamo ad ammettere l’uscita dalla crisi e l’ingresso nel nuovo corso?


Manifestatasi a partire dal 2007 ed esplosa nel 2008 negli Stati Uniti, innescata dall' eccesso di debiti e relativi crediti inesigibili, tutti indotti dalla stagione delle politiche dei bassi tassi d’interesse inaugurata dalle banche centrali, si concluderà nello stesso modo con il quale ci siamo entrati: con tassi ancora più bassi e politiche monetarie ancora più espansive.

Il risultato sarà miracoloso.  Assisteremo alla fine alla magica scomparsa dei debiti. Sarà probabilmente ricordato dai posteri come il gioco di prestigio più audace di questo secolo. Talmente audace da rasentare la truffa nota come schema Ponzi, quella in cui pochi si arricchiscono a spese di molti.


La bacchetta magica in grado di realizzare questo risultato sarà l’inflazione.

Questo è infatti  l’obiettivo implicito ma non apertamente dichiarato di tutte le banche centrali guidate dalla Federal Reserve Usa. La banca centrale europea è stata la più tentennante, oppressa dall’ortodossia, alla fine più ostentata che praticata, della Bundesbank, tradizionalmente ostile all’inflazione, da sempre in netta contrapposizione  alle tesi dei monetaristi alla Milton Friedman.


Se Ben Bernanke, attuale chairman della Fed, annuncia manovre di stimolo monetario senza limiti legandone la durata all’obiettivo di far calare il tasso di disoccupazione Usa e allo stesso tempo ammette  l’inefficacia di quelle manovre in tal senso, occorre “ intelligere”  l’obiettivo implicito: inflazione.

Finora infatti i due precedenti Quantitative easing varati non avevano dispiegato interamente il loro potenziale inflazionistico solo perché, nel gioco delle aspettative tra banche centrali e mercati,  la perentoria dichiarazione di voler evitare assolutamente l'inflazione, aveva funzionato da valido deterrente.  Nel momento in cui la Fed lascia intuire che sia diventata il suo obiettivo, ha nei fatti  dato il suo assenso all'inizio del galoppo dei prezzi.


REPRESSIONE FINANZIARIA

D'altronde, era fin troppo prevedibile quale sarebbe stato l’esito finale dopo anni di eccesso illimitato di debito - di chi riteneva di non esporsi al rischio perché tanto tutti sarebbero stati salvati e così è andata ( moral hazard). Il fenomeno è stato talmente esteso nelle sue dimensioni da rendere l’intero sistema finanziario ed economico insolvente nel suo complesso. E non è certamente un caso che la rotta da seguire sia stata impostata sull’inflazione, dalla banca del principale debitore del mondo. Il debito pubblico degli Stati Uniti è balzato in soli quattro anni , secondo le stime del Fondo monetario internazionale, dal 67,2% nel 2007 al 102,8% del 2011, cui vanno aggiunti i debiti privati e dei singoli stati, oltreché un tasso di risparmio nullo degli americani e una bilancia commerciale perennemente in disavanzo.


Con un sistema finanziario globale costantemente sull’orlo del collasso sotto il peso dell’enorme debito, solo generando inflazione può essere schivata l’insolvenza, semplicemente ottenendo la crescita del Pil nominale. ( il Pil reale è quello depurato dall’inflazione, quello nominale non ne tiene conto, per cui con l’aumento dei prezzi si incrementa in valore assoluto).

Come è noto il Pil nominale è la somma del valore monetario corrente di tutti i beni e servizi prodotti in un anno. Se aumentano i loro prezzi cresce anche il Pil. Tuttavia, essendo solo una crescita dovuta all'aumento dei prezzi non è reale, ma idonea a far calare il rapporto numerico tra debito e Pil ( Esempio: l’attuale rapporto in Italia tra debito e Pil è circa il 121%.  Con un’inflazione del 7% il Pil sale altrettanto, dunque pur non essendoci stata una crescita reale della ricchezza del Paese ma solo un aumento dei prezzi dei beni e dei servizi, di colpo si riduce l’incidenza del debito rendendolo automaticamente più sostenibile. Il discorso, naturalmente, vale per tutti i Paesi).


Se contemporaneamente i tassi vengono pilotati verso il basso da politiche monetarie ultraespansive e  da operazioni tipo Twist – il Tesoro americano scambia titoli a breve  già in suo possesso con Bond a lunga scadenza, allo scopo di mantenere artificialmente bassi i tassi sul debito pubblico a lunga scadenza- , si ottiene l’abbattimento del costo del debito, a dispetto dello scenario economico  sfavorevole alla risoluzione della crisi.  

Questo è ciò che avverrà.


L'ESPROPRIAZIONE DI RICCHEZZA

E’ la via attraverso la quale tutti gli interventi di salvataggio delle banche e imprese con denaro pubblico fatti in Usa e nel mondo, la deriva dei debiti pubblici per mantenere apparati burocratici inefficienti e costosissimi in Italia e Grecia più che altrove, saranno, in maniera occulta, scaricati sui cittadini.

E’ la peggiore delle tasse che possano essere escogitate. Decisa da istituzioni al di sopra delle nazioni, non sottoposta alla punizione elettorale  e non dichiarata apertamente, assume i contorni dell'inganno. I costi complessivi sono altissimi. Oltre alla perdita di potere d’acquisto reale di stipendi e salari, c’è anche il conto pagato da tutti i piccoli risparmiatori attraverso i mancati guadagni derivanti da contenuti rendimenti dei titoli di Stato legati a tassi tenuti artificialmente bassi e addirittura negativi in termini reali se si considera la ricaduta inflazionistica elevata.

Non dà via di scampo a piccoli risparmiatori e lavoratori a reddito fisso privi di salari agganciati all’aumento del costo della vita. Dunque in palese violazione -per gli italiani-  di quel patto, da nessuno ricordato, stipulato al tempo dell’abolizione della scala mobile, con il quale il governo si impegnava "sine die"  al contenimento dell’inflazione anche attraverso i benefici derivanti dalla futura adesione alla moneta unica.

La ricadute sono socialmente allarmanti anche in tema di previdenza integrativa in Europa e per la previdenza generale nei Paesi anglosassoni. Essendo infatti i fondi pensione e le assicurazioni sulla vita, investiti prevalentemente in titoli di Stato, è evidente che il valore reale delle loro prestazioni alla scadenza, sarà abbattuto dall’erosione forte e costante dell’aumento generalizzato dei prezzi nel frattempo verificatosi. 

Rappresenta una tassa occulta e subdola. La più esosa che possa essere introdotta. Colpisce la massa erodendo la capacità d’acquisto in modo graduale, quasi invisibile e non è ascrivibile alla responsabilità di governi costantemente sottoposti al  “ricattato” elettorale. L’unica davvero in grado di rimettere  una volta per tutte i debiti, caricandoli su una moltitudine di cittadini elettori disinformati, manipolati e spaventati, dunque  incapaci di reale e consapevole possibilità di giudizio e scelta. In nessuna delle campagne elettorali in corso, inclusa quella per le presidenziali in America, si trovano cenni inerenti queste tematiche.


Il lato positivo di tutto questo è che, finalmente, una decisione, dopo infiniti tentennamenti, è stata presa. La crisi, dopo aver apportato profondi cambiamenti, avrà traghettato le nostre società verso nuove forme di organizzazione economica e sociale, attraverso una generale redistribuzione della ricchezza....rimasta.

                                                                            ENZO PICARD

mercoledì 27 giugno 2012

L'IMPLOSIONE DELL'EURO NON CI SARA'. LO SCENARIO FUTURO


La paura può essere un ottimo collante
L'euro non imploderà. Sarà la paura di una crisi sistemica globale a salvarlo. Per cui nessuno dei leader al vertice, nel quale saranno prese le decisioni destinate a tracciare le linee del futuro dell'Unione Europea, consapevole del pericolo di tale evenienza, vorrà correre il rischio di provocarla. Tuttavia l'accordo raggiunto sarà il minimo sufficiente ad evitare l'evento traumatico e procedere sulla via di una maggiore integrazione economica e politica.
Non assisteremo a misure risolutive della crisi, per quelle ci vorrà tempo e fiducia tra i membri dell’Unione, ma volte nell’immediato, a mettere in sicurezza il sistema bancario e con esso l’euro, con una sorta di garanzia comune dei depositi e accentramento della sorveglianza degli istituti di credito a livello comunitario. Si troverà anche un accordo concernente l’unione fiscale e verrà stilata una road map per scandire il processo di unione delle politiche economiche destinato, se tutto andrà bene, a condurre nel giro di alcuni anni verso un'unione politica ed economica, legando così indissolubilmente, per la prima volta nella storia, la sorte di popoli in passato in conflitto tra loro.
In ogni caso non è da escudere, il commissariamento dell'Italia, presto costretta a chiedere ufficialmente aiuto alla troika, qualora non ottenga misure immediatamente idonee a un immediato e corposo abbattimento dello spread. 

Il compromesso.
Naturalmente, per il momento, sarà evitato accuratamente dalla Germania qualsiasi meccanismo (eurobond) di mutualizzazione reciproca dei debiti pubblici, mantenendo in tal modo elevata la pressione degli spread – situazione gradita alla Germania convinta, non a torto, che solo sotto la minaccia costante dei mercati, pendente come una spada di Damocle sulla testa, Italia, Grecia e Spagna, saranno capaci di intraprendere i cambiamenti necessari per lo sviluppo e la permanenza di lungo periodo all'interno della moneta unica. La minaccia sarà probabilmente mitigata dalla possibilità data ai fondi salva stati di acquistare titoli pubblici dei Paesi più deboli per sostenerne il valore e contenerne i rendimenti. E attaverso finanziamenti da impiegare in investimenti per la crescita.

Il declino
Di fatto, il vertice sarà un'incontro in cui verrà delineata l'Europa del nuovo secolo, in cui l'Italia, reduce da un ventennio di follia politica ed economica, sempre incapace di intraprendere autonomamente qualsiasi riforma utile, sarà costretta a trattare con tedeschi e francesi da una posizione di estrema debolezza, con un governo tecnico, temi inerenti le cessioni di sovranità e i rapporti di forza all'interno dell'Unione. Cosa possiamo aspettarci di ottenere in simili condizioni al tavolo dei negoziati?
Questo è solo l'ultimo tassello che va ad aggiungersi alla recente richiesta dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina) di ricoprire cariche all'interno del Fondo monetario internazionale, in cambio dei finanziamenti loro richiesti per soccorrere l'Europa. Dovrà essere ceduto loro il posto di qualche membro dell'Unione, non è difficile indovinare quale possa essere.
Stiamo dunque perdendo il ruolo internazionale duramente conquistato nel secolo scorso in Europa e nel mondo, nella totale disattenzione dell'opinione pubblica, senza un dibattitto politico e senza che i cittadini ne abbiano contezza.
Presto saremo ridotti al rango di Paese inferiore sulla scena internazionale, la cui appartenenza all' euro sarà più formale che sostanziale.
Stiamo per essere posti ai margini dell'Europa e del Fondo monetario internazionale, relegati a un ruolo di dipendenza rispetto agli altri Paesi, esclusi dagli organi decisionali dei massimi organi mondiali dove si misura la capacità d'influenza di una nazione. Della perdita di prestigio cui stiamo andando incontro ne abbiamo avuto un assaggio nelle vicende Battisti con il Brasile, nella guerra in Libia, i marò in India di cui non parla più, gli ostaggi uccisi in Nigeria senza preavviso dagli inglesi in un blitz.
La perdita dello status di media potenza economica e industriale è il conto che quindici anni di annichilimento politico, culturale e mediatico, ci hanno lasciato da pagare e con cui progressivamente dovremo abituarci a convivere, in un mondo in continua evoluzione, dove, sulla capacità d'accesso alle fonti energetiche,  sull'evoluzione tecnologica e sulla preparazione culturale, si giocherà un futuro più o meno florido di ciascun Paese. Tutti campi dove noi italiani abbiamo posto le basi per esserne esclusi. E' doveroso aggiungere anche che, minor prestigio e capacità d'infuenza, comportano l'impossibilità di dare il proprio contributo secondo le proprie idee, su problemi quali l'ambiente, una più equa distribuzione della ricchezza e il mantenimento della pace. Tutti temi sui quali, chi prenderà il nostro posto, non è affatto detto possa avere proposte migliori delle nostre.

La promessa implicita.
Per questo sarà bene non farsi facili illusioni a vertice concluso.
I nostri problemi urgenti, primo tra tutti l’eccesso di spesa pubblica, resteranno tutti in attesa di essere affrontati e risolti. E se non provvederemo a farlo da soli, tra qualche tempo ci troveremo nuovamente sulla graticola.
Non esistono scorciatoie, dentro o fuori dall'euro, se non verrà per tempo ridimensionata l’insostenibile spesa pubblica del nostro Stato, non saremo più in grado di permanere nella moneta unica e, se ne uscissimo, non cambierebbe nulla. Per un Paese come il nostro, privo di materie prime, sarebbe impossibile competere a livello internazionale, con una moneta priva della reputazione indispensabile - come per esempio quella della sterlina - per continuare ad avere la capacità di attingere, potendoli pagare, agli approvviggionamenti energetici, a causa delle inevitabili e costanti svalutazioni che seguirebbero l'abbondante offerta di moneta necessaria a finanziare l'eccesso di spesa pubblica. 

La realtà internazionale
Il mondo negli ultimi vent’anni, al di fuori dei nostri confini, è mutato profondamente. La competizione commerciale, sulla quale si gioca il livello di vita tra i diversi Paesi e continenti si è fatta dura. Non esiste più la realtà di un manipolo di Paesi del primo mondo con alto tenore di vita e possibilità di sprechi.
Oggi, interi continenti avanzano spediti sulla strada dello sviluppo, ciascuno cercando di essere competitivo come meglio può. Imboccando la strada dello sviluppo e della crescita a seconda delle proprie possibilità.
Ci sono Paesi come la Russia che fanno leva sulla loro disponibilità di materie prime, altri, come la Cina, che per migliorare hanno puntato tutto sul basso costo del lavoro, sacrificando in tal modo diritti e salute dei lavoratori, per riuscire a esportare quanto più possibile per arricchirsi giorno dopo giorno.
C’è poi la Germania  -a mio avviso e a dispetto anche degli americani, sui quali ci sarebbe molto da discutere sul loro modo di finanziare una crescita, troppo incentrata e troppo dipendente su una politica monetaria espansiva senza precedenti e sul ruolo principe del dollaro di moneta universalmente accettata negli scambi internazionali, per essere sana e duratura. Fermo restando che, in ogni caso, resta il Paese con le migliori università del mondo, i centri di ricerca tecnologica più avanzati, una mentalità tutto sommato vincente e la forza militare più potente, tutti elementi che non vanno sottovalutati-  tra i pochi Paesi al mondo, insieme a Finlandia e Danimarca, ad essere riuscita a coniugare armoniosamente crescita economica, grande e autentico rispetto per l’ambiente, elevati standard sociali e retributivi per i lavoratori, equa distribuzione della ricchezza e sviluppo tecnologico d’avanguardia.

La scelta
Noi come italiani dobbiamo scegliere a quale modello intendiamo ispirarci. Fatta la scelta, con coerenza dobbiamo operare i cambiamenti utili a proiettarci verso il futuro desiderato. Non c'è più tempo da perdere in discussioni infinite e insensate, o peggio dietro ai demagoghi di turno che sempre più numerosi faranno capolino sulla scena nazionale. Questa sarà la sfida da affrontare, dandoci le risposte giuste e scegliendo tramite chi e con quale classe politica vogliamo agire.
Sono gli stessi temi su cui riflette chi ci osserva, dovendo operare scelte d'investimento come i mercati, o dovendo decidere se procedere sul cammino europeo del futuro con o senza di noi.
Dalle risposte che noi ci daremo e da quelle che gli altri su di noi si daranno, dipenderà il nostro destino.
Sapremo resistere al richiamo seducente delle sirene? Quelle pronte a suggerire, come già pretendono dall’Unione Europea, la monetizzazione del debito illudendosi e illudendo di risolvere problemi annosi e strutturali semplicemente stampando moneta, accendendo la miccia dell'inflazione galoppante che conduce velocemente nel baratro del sottosviluppo e della miseria?
Si perché occorre aver chiaro che, per come è strutturato adesso il sistema mondiale –e non è detto che io ritenga sia il migliore possibile, ma questo è un altro discorso- e per le crescenti aspettative di numerosi popoli, reduci da un passato di sottosviluppo, legittimamente aspiranti a condizioni di vita migliori, la distanza che separa il gruppo di testa da quello di coda è equivalente alla capacità produttiva, commerciale e di tenuta democratica sostenute da un adeguato sistema economico e burocratico, con giusta ripartizione delle risorse, senza sprechi e inefficienze, in cui le conquiste in tema di lavoro (quello vero) e stato sociale vengono salvaguardate.

La nostra salvezza
Nessuno potrà salvarci se non molleremo l'abbraccio mortale con la cultura del falso assistenzialismo, anticamera di corruzione e clientelismo, continuando a costringere la parte più produttiva e operosa del Paese a mantenere un esercito di lavoratori pubblici troppo numerosi, spesso svogliati e demotivati dunque inutili membri di un apparato burocratico fine a se stesso, per nulla animato dalla voglia di rendersi utile alla collettività.  
Essi rappresentano un costo economico e sociale, esagerato per la comunità. Non è sostenibile continuare a mantenere una massa di finti lavoratori, impiegati in finti lavori. I primi ad essere insoddisfatti di questa situazione sono proprio loro, in moltissimi casi costretti a ricercare in diverse forme, il tentativo di dare un senso alla loro vita.
Certo, non vanno e non possono essere sottovalutati gli insostenibili disagi del licenziamento repentino, come già accaduto in Grecia, di un così grande numero di persone senza rischiare  di aggravare la recessione in corso e il rispetto che si deve per delle esistenze comunque sottoposte a uno stress psicologico cui non sono abituate.
Ma, proprio per risolvere questo problema devono essere usate le armi a disposizione della politica monetaria espansiva di Keynesiana memoria. Si può fare, predisponendo un adeguato piano di riconversione e riqualificazione professionale, finanziato dallo Stato, che se seriamente pianificato, potrebbe anche riscuotere l'approvazione della Comunità Europea. Ad esempio con l’indebitamento o con l’aumento dell'offerta di moneta, in questo caso entrambi benefici, in quanto risorse destinate a vero sviluppo - specie se fossero formati per svolgere mansioni nel campo delle energie pulite, nella progettazione e realizzazione di un grande piano nazionale di messa in sicurezza del territorio da calamità naturali piuttosto che nel contenimento dell'impatto ambientale degli edifici e delle città e tanto altro- dai lunghi orizzonti e di sicuro effetto positivo sulla reputazione.

Il riscatto nazionale dopo il danno
Questo è il viatico con cui riscattarci dagli anni bui, degli eccessi e delle follie all'ombra di una cappa apparentemente patinata, in realtà oscura e fumosa.
Anni in cui ci siamo allontanati troppo pericolosamente dalle condizioni di equilibrio che garantiscono il buon funzionamento di un’economia liberale e democratica. Dove lo sviluppo economico deve essere sano e non drogato. 
Anni in cui sono state messe in atto, da noi più che altrove, a causa di un’anomala concentrazione del potere televisivo mediatico, le tecniche di comunicazione più avanzate che hanno consentito, a chi se ne è servito, di poter mantenere per troppo tempo un costante divario tra ciò che prometteva, ciò che faceva e ciò che si sapeva. Riuscendo, in tal modo, ad eludere la punizione elettorale che insieme a una libera informazione, è baluardo irrinunciabile di una sana democrazia. 
Questo gioco è stato troppo facile per chi, potendo disporre di una cassa di risonanza mediatica senza eguali nel mondo, ha potuto sedurre una fetta troppo grande di elettori dicendo loro esattamente ciò che volevano sentirsi dire, avvalendosi di sondaggi d’opinione quotidiani. Creando con ciò un'artificiosa corrispondenza tra le sue promesse e le aspettative degli elettori, altamente dannosa perché, non avendo mai ottenuto nella realtà quanto promesso e da loro desiderato, ha finito per farli sentire ingannati, alimentando a dismisura delusione profonda, sfiducia nel sistema e voglia di rivalsa tramite l'appoggio all'antipolitica e al giustizialismo.
Danni questi di portata incalcolabile, con i quali saremo chiamati a fare i conti a lungo nel futuro in termini di tenuta sociale e democratica.
C'è anche questa nuova sorgente di instabilità nella valutazione dei mercati e nei tassi d'interesse che paghiamo sul debito pubblico.

Mercati, moralità e sua rilevanza economica
I mercati sono amorali per definizione, tuttavia attenti ad essa nel momento in cui diventa economicamente rilevante. 

Il "fattore culturale" discriminante rilevante nella valutazione
Nei loro sofisticati calcoli è perfettamente compreso perfino il  “fattore culturale” da essi immediatamente identificato quale possibile elemento in favore del rafforzamento dell’aspettativa di implosione della moneta unica.
Credo che per chiarire efficacemente quale sia esattamente questa discriminante culturale che distingue gli europei del nord da quelli del sud, sia utile indicare un esempio pratico, con una piccola premessa.
La premessa è che la forza centripeta all’interno dell’Unione europea sia la non volontà dei tedeschi (sfiducia) di condividere il nostro enorme debito pubblico. Essi sono terrorizzati alla sola idea di dover pagare di tasca loro per gli sprechi altrui.
Per comprendere questo loro sentimento, più appartenente alla sfera caratteriale che economica, è sufficiente recarsi con loro a cena al ristorante.
Chiunque abbia avuto occasione di farlo, sa benissimo che per loro, a fine pasto, lauto o austero che sia stato, è normalissimo chiedere un conto per ciascuno dei commensali.  Il cameriere, peraltro, non fa una grinza nel calcolare individualmente l'importo dovuto e consegnare a ognuno la relativa ricevuta con l'eventuale resto.
Possiamo ben comprendere in quale confusione li mettiamo chiedendogli di condividere con noi, dilapidatori pubblici globalmente conclamati, visto che siamo riusciti a edificare il secondo debito del mondo pur non essendo la seconda economia del mondo e neanche il secondo Paese per numero di abitanti, il nostro debito pubblico.

C'è tutto questo e tanto altro nelle valutazioni dei mercati.

                                                                                    Enzo Picard

lunedì 18 giugno 2012

E' EFFIMERO L'ENTUSIASMO SULLA GRECIA

La prevedibile euforia con cui i mercati saluteranno l’esito delle elezioni in Grecia non deve trarci in inganno riguardo l’esito finale della crisi dell’area euro. Essa è ben lungi dall'essere risolta. 
Sebbene si sia evitato l’esito imminente e traumatico dell’uscita immediata del Paese ellenico dalla moneta unica, restano intatti i problemi strutturali di fondo alla base delle attuali difficoltà in Europa.

Essa resta ancora un soggetto finanziario infartuato, con la liquidità che non circola tra i Paesi e soprattutto tra le banche dell’Unione. Insoluti sono ancora i problemi inerenti la crisi dei bilanci delle banche dei Paesi più esposti. Il calo del valore dei titoli di Stato sul mercato secondario,  l’enorme esposizione, pari a circa un terzo del Pil, delle banche iberiche sul fronte dei crediti immobiliari, il preoccupante aumento delle sofferenze su crediti di quelle italiane seguito alla forte contrazione economica dopo le misure d’austerità varate dal Governo e l'emorragia di liquidità di chi, non fidandosi, ha provveduto o sta provvedendo a drenare soldi verso porti più sicuri, provocano serie perplessità sulla tenuta dei loro bilanci.
Irrisolte sono ancora le sorgenti di crisi  in tema di differenze di competitività tra Paesi, causa del costante e progressivo impoverimento dei Paesi più arretrati nei confronti di quelli, la Germania per prima, con una struttura economica e burocratica più efficiente.

La volontà dei greci di permanere nell’euro è solo apparente. Analizzando le differenti posizioni dei partiti vincitori, Nova Demokratia e Pasok, non si leggono affatto intenzioni serie di intraprendere quei cambiamenti strutturali, che potrebbero rilanciare in modo duraturo l'economia del loro Paese.
Essi manifestano la volontà di permanere nell'euro, ma non quella di aggredire nessuno dei grossi problemi che li affliggono.
Per convincere la Germania a spendere risorse per loro e i mercati della sostenibilità della loro struttura economica, dovrebbero infatti, implementare un drastico ridimensionamento della macchina statale e della corruzione, per snellire la spesa pubblica, rendendola compatibile con le dimensioni dell' economia. 
In questo senso nessuno dei partiti vincitori prevede o ha in programma simili misure, anche perché sarebbero duramente contrastate da tante forze interne e trasversali a loro stessi, oltreché manifestamente impopolari in un Paese in cui, una parte troppo grande di cittadini, è da lungo abituata a pensare di avere il diritto di ricevere uno stipendio per il solo fatto di recarsi in un ufficio pubblico a timbrare il cartellino, a prescindere dalla reale utilità della mansione che svolge. Fin quando permarranno queste disfunzioni la loro amministrazione finanziaria sarà sempre in deficit, con la perenne necessità di indebitarsi per andare avanti.

In poche parole i greci vogliono restare in Europa, ma intendono farlo a modo loro, continuando a dipendere ed essere mantenuti dall'Europa e dai mercati cui si rivolgono per attingere risorse.
Naturalmente tutto questo i tedeschi lo sanno e sarà difficile che siano disposti a soddisfare tale aspettativa, solo per sfuggire al ricatto implicito e sottostante della catastrofe finanziaria seguente l’eventuale disgregazione dell’euro, che un'eventuale uscita della Grecia innescherebbe. Anche perché, se lo facessero per la Grecia, perché non dovrebberlo poi farlo per tutti quei Paesi che, all'ombra della moneta unica, coltivano vizi e inefficienze.

                                                                              Enzo Picard

lunedì 7 maggio 2012

Europa in bilico

La reazione dei mercati finanziari all’esito delle elezioni di Francia e soprattutto di Grecia sarà violenta, sia sugli spread che sugli indici.
Il rischio di non governabilità della Grecia, i cui aiuti sono condizionati all’impegno dell’adozione delle misure di risanamento imposte dalla Troika, l’incertezza sul futuro ruolo della Francia di Francois Hollande in un’Europa fino ad ora dominata dalla linea d’austerità della Germania, cui si aggiungono i recenti dati giunti dagli Stati Uniti di ripresa solo fittizia, fondata sul castello fantastico dell’effetto droga della Fed, scatenerà l’ira dei mercati.
Per l’Europa è il momento della verità: dell’unità o della divisione definitiva. Vedremo se saprà essere all'altezza del suo ruolo nel mondo, o se come sembra, ne è priva, avendo dimenticato d' essere il faro mondiale della civiltà, il modello assurto a simbolo ammirato per la capacità di aver saputo costruire pace e prosperità sulle rovine della guerra più devastante della storia. 
Assorbiti come sono nel loro quotidiano gli europei non hanno piena consapevolezza di questo loro ruolo, complice l'assenza di veri leader capaci di autentiche lungimiranti visioni del futuro, in grado di trascinare i cuori e le menti.
E' giunto il momento della verità, d'ora im poi si capirà se il Continente dei continenti merita la considerazione di cui gode in virtù della sua millenaria storia, o se ha smarrito se stesso, riducendosi a un'accozzaglia di Paesi uniti solo dall'egoismo commerciale.

La speranza di svolta e salvezza dell’Europa potrebbe essere Hollande, eletto pur non essendo riuscito a emozionare gli elettori, soprannominato "Flanby" - dal nome della marca di un budino al caramello-  ma le cui circostanze della sua candidatura (Strauss Kahn eliminato dallo scandalo di New York) somigliano molto alla “sincronicità” degli eventi non accaduti per caso. Potrebbe essere la rivelazione, colui il quale può imprimere una svolta alla storia,  capace di “tradurre in logica tedesca” l’estrema necessità di abbandonare le politiche di austerità responsabili dell’avvitamento della crisi, con una recessione ogni giorno più vicina alla catastrofe, che trascinerebbe il mondo intero in una nuova grande depressione.
Profetiche potrebbero essere le sue parole in un'intervista:"capita tutto in un istante, vieni eletto, un attimo dopo incarni la Francia. E tutto cambia".

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venerdì 4 maggio 2012

PRIVATIZZAZIONI -ATTO FINALE DELLA CRISI -

Questa crisi non è il regno dell’ignoto. E’ il copione già scritto con un finale già noto.  La storia di un Paese dall’anima smarrita che nella corruzione e nell’autoinganno  ha dissipato il benessere di cui ha goduto. Che si appresta adesso a mettere in scena l’ultimo atto, quello in cui giocando l’ultima carta che gli resta, consegnerà de facto i suoi cittadini a un lungo periodo di povertà e sottosviluppo, certamente oscuro.

Privatizzazioni e dismissioni. Sono le due parole che tra qualche tempo, dopo la ribalta dello spread, della crescita e della spending review, saliranno sul trono della comunicazione  mediatica, riempiendo lo squallido dibattito di una nazione che si dimena invano nelle pastoie di una crisi di cui non riesce a trovare il filo.
Erano state tirate in ballo già negli anni 90. Allora come oggi saranno l’atto conclusivo e “necessario” , per forza predatorio, ultima spiaggia di un debito pubblico fuori controllo. Con una grande differenza, tuttavia.
I vecchi protagonisti di quegli anni, saranno sostituiti dai nuovi e più pericolosi attori: i cosiddetti re dei mercati globali. Tra loro i fondi sovrani cinesi, primi fra tutti.

PRIVATIZZAZIONI ANNI 90
Per un’idea di come sono avvenute le privatizzazioni in Italia in quegli anni, basta osservare i casi di Telecom o Autostrade.
Entrambe società dotate di infrastrutture (la rete telefonica  e quella autostradale) la cui realizzazione aveva richiesto l’impiego di ingentissime risorse, grandi investimenti che solo uno Stato con un lunghissimo orizzonte temporale può pianificare, ricorrendo anche al debito. Debito positivo, destinato a infrastrutture importanti che nel tempo favoriscono lo sviluppo economico.
Così ce le descrive Nino Lo Bianco, uno dei consulenti d’impresa più famosi d’Italia, nel suo libro “Volevo fare il consulente”, edito dal Sole 24ore:
“la Fiat che, con appena lo 0,60% del capitale, si ritrovò sul ponte di comando della Telecom da dove uscì poco dopo con una plusvalenza miliardaria … poi ha continuato a essere comprata e venduta, da Roberto Colaninno e Marco Tronchetti Provera, fino a Telco, sempre e solo attraverso la leva del debito. Con un bilancio disastroso, se lo misuriamo con il parametro degli interessi nazionali: mentre in Paesi europei come Francia, Germania e Spagna, nella telefonia, si sono costruiti dei campioni internazionali in grado di essere competitivi sui mercati e di produrre dividendi eccellenti, in Italia la navicella Telecom arranca nel mare aperto della telefonia in continua evoluzione”.

Vere e proprie operazioni speculative realizzate senza mezzi propri, lucrando sul valore di opere precedentemente  compiute con i soldi dei contribuenti, con la connivenza dello stesso Stato e delle banche che hanno finanziato le operazioni.
Il caso Autostrade è sotto gli occhi di tutti con un monopolista privato e le tariffe più care d’Europa.

LE PROSSIME PRIVATIZZAZIONI
Data la drammatica situazione delle nostre banche, questa volta le privatizzazioni e le dismissioni del patrimonio dello Stato non potranno prescindere dai grandi soggetti finanziari globali, ricchi di liquidità, pronti a rilevare quanto di meglio sul mercato.
Sono stati numerosi in questi mesi gli incontri del Presidente del Consiglio con esponenti delle varie comunità finanziarie in giro per il mondo e uno merita un'attenzione particolare.

China investment corporation (Cic)
Il 26 aprile scorso, poco tempo dopo la visita di Monti,  il viceministro dell’economia Grilli era in Cina. Dopo aver incontrato il Presidente della Banca centrale cinese, ha avuto un colloquio con Gao Xing Qing, futuro numero uno del fondo sovrano China investment corporation (Cic), durante il quale, dopo aver illustrato e lodato le riforme intraprese in Italia dal Governo, sollecitando l’acquisto dei nostri Btp, si è sentito rispondere, senza giri di parole, che la Cina non intende investire in titoli di Stato periferici e poco liquidi dell'eurozona, ma preferisce le attività produttive, quelle legate al tessuto industriale, le partecipazioni azionarie in società dell’energia e della tecnologia verde. In ogni caso, per il momento attendono l’esito delle elezioni presidenziali francesi prima di agire.
Il China investment corporation con 332 miliardi di dollari è il più grosso dei quattro fondi sovrani cinesi e possiede una partecipazione azionaria in Morgan Stanley che a sua volta controlla due delle tre maggiori agenzie di rating: Standard & Poor’s e Moody’s.

Neanche tanto velate le intenzioni dei cinesi, decisi a entrare in Eni, Enel, Finmeccanica e nei migliori assets dell'economia italiana.
A privatizzazioni concluse, quando lo Stato, già privo della sovranità monetaria, sarà ridotto a una scatola vuota, ci saranno le elezioni.
                                                      Enzo Picard

venerdì 27 aprile 2012

VERSO IL COLLASSO EURO

La crisi delle banche di Spagna e d’Italia, di cui avevamo scritto nel post  “l'implosione dell’euro è nei fatti”, è stata ieri ufficializzata dal declassamento di due gradini della Spagna, operato dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, che prelude al successivo ulteriore downgrade anche del debito sovrano italiano.
Procede l’avvitamento della crisi dell'eurozona avvicinandosi  pericolosamente alla fase di stallo in cui gli eventi rischiano di precipitare.

Le banche spagnole e italiane, e di conseguenza i rispettivi Stati, sono tecnicamente fallite.

La situazione finanziaria europea è davvero giunta quasi al punto di non ritorno. A meno di coraggiose e tempestive decisioni a livello comunitario, improbabili peraltro in piena campagna presidenziale francese, gli eventi rischiano di anticipare qualsiasi utile strategia di contenimento della crisi. Certo nel breve si può contare sugli interventi della Bce sul mercato secondario nel tentativo di limitare il rialzo degli spread. La soglia di allarme rosso è a 500 punti. I cosiddetti firewall sono armi spuntate in partenza vista l’insufficiente dotazione di cui possono disporre in caso di salvataggio di Spagna e ’Italia.

Ormai quasi tutti i Paesi europei patiscono la crisi di liquidità che blocca l’economia. Il denaro non circola all’interno dell’Unione, nonostante il fiume di liquidità fornito alle banche dalla Bce con gli Ltro.

Spagna e Italia hanno perso l'accesso ai capitali per le vie di mercato. Le loro economie stanno collassando per mancanza di liquidità.

L’Europa è bloccata. Il denaro non circola più all’interno del suo circuito economico. E’ crisi di fiducia ormai. Le banche spagnole e italiane hanno difficoltà di funding.
Le banche in Europa non si fidano più l’una dell’altra, come dimostra il record di depositi overnight (circa 780 miliardi di euro) presso la Banca centrale europea. Piuttosto che prestarsi denaro tra loro, o darlo a imprese e famiglie per sostenere consumi e investimenti, preferiscono tenerlo parcheggiato rimettendoci. Questo il segno inequivocabile della gravità della situazione.

L'unico pilastro su cui ancora si reggono in piedi le banche italiane è l'incrollabile fiducia dei depositanti  -ma sono numerosi gli italiani che hanno esportato i capitali all'estero, come dimostrano i numeri del conto dei movimenti del capitale e i consistenti acquisti immobiliari a Londra e in Germania-che ancora gli lasciano in deposito i loro risparmi. E sappiamo che lo stock di risparmio privato degli italiani è tra i più alti del mondo.
Per coprire le esigenze di liquidità nel breve cercano di attirare clienti sui conti deposito, offrendo loro tassi d'interesse allettanti,  attingendo così anche al denaro dei piccoli risparmiatori, unico canale di approvvigionamento rimasto aperto, considerato che la loro capacità di finanziarsi presso la Banca centrale è seriamente compromessa dalla svalutazione delle obbligazioni di Stato da dare in garanzia come collaterale.

Ma nubi ancor più tempestose si addensano nel già oscuro orizzonte italiano.
Le banche del bel Paese, già debilitate dai grossi acquisti di titoli per sostenere il debito pubblico, indebolite dal forte aumento delle sofferenze sui crediti a causa della contrazione economica, potrebbero presto trovarsi ad affrontare anche il crollo dei valori immobiliari.
La manovra di risanamento dei conti che ha istituito il pagamento della tassa patrimoniale sugli immobili (Imu) potrebbe indurre numerosi italiani a mettere sul mercato le seconde e terze case nel duplice tentativo di ottenere liquidità per il pagamento delle rate dell’imposta e sbarazzarsi del tradizionale investimento nel mattone trasformatosi da rifugio in incubo, per gli alti costi di cui è gravato.
Facile prevedere cosa accadrebbe per le banche italiane.

Sembrano inoltre troppo ottimistiche le previsioni di recessione 2012 redatte dal Fondo monetario internazionale quantificate in un calo di 1,9% del Pil.
Tutto lascia prevedere un calo di tipo greco, più che quello delle previsioni ufficiali, considerati i dati sui pesanti effetti depressivi delle manovre di risanamento.

E’ giunto il momento di valutare individualmente le giuste mosse da intraprendere e le scelte da fare per attenuare il più possibile i pesantissimi effetti dello tsunami finanziario ed economico cui sembriamo inesorabilmente andare incontro.
                                             Enzo Picard
                                                            

venerdì 20 aprile 2012

CRISI: IL FUTURO RUBATO

Mentre la situazione precipita inesorabilmente, il Governo continua a ripetere che non siamo la Grecia, che il suo obbiettivo è la crescita (ma di cosa? Delle tasse certamente) e che la colpa della risalita dello spread è della Spagna, della Cina che cresce troppo poco, della Germania che cresce troppo. Tutto ciò mentre i mercati fibrillano per la crisi delle banche.
Proviamo a fare qualche riflessione più profonda estraniandoci da questa quotidiana confusione, fuori dalla portata del fuoco mediatico che uccide ogni giorno la verità.

Non è che non riescano a vedere la soluzione.
Non riescono a vedere il problema. 
  
                                                    G.K. Chesterton


Il punto di svolta visibile furono i giorni seguenti il fallimento della Lehman brothers negli Stati Uniti: il cuore del sistema finanziario globale.

Fu chiaro fin dall’inizio come l’Italia avrebbe affrontato la crisi: negandola.
E quando non fu più possibile negarla, mistificandola. A prescindere dai Governi.

Immaturità e inadeguatezza psicologica di massa sono il fil rouge della storia del contrasto al declino tanto inatteso quanto rapido.
Un declino prima di tutto della ragione di un Paese che non riesce a collegare il presente con il futuro dando il giusto senso al suo passato.

E’ noto che le soluzioni giuste si trovano ponendosi le domande giuste.
Eppure l'unica domanda dilagante nell’opinione pubblica nazionale, quella più diffusa nei nostri patologici media, è: “di chi è la colpa”?
La risposta: "troviamo i colpevoli ed eliminiamoli".
Come se una crisi economica si risolvesse allo stesso modo dei numerosi casi d'omicidio cui siamo tanto abituati nei salotti televisivi.

Così inizia la caccia ai colpevoli, che vengono identificati ora negli evasori -come se lo Stato avesse il diritto di prelevare ai cittadini più di metà del reddito sperperando risorse senza rendere conto delle spese, dando l’impressione di essere insaziabile - ora nei politici, in una caccia alle streghe in cui tutti sembrano perdere la memoria, pronti a giudicare e a condannare.
Come se nessuno avesse mai preferito rinunciare a una fattura o scontrino pur di risparmiare, o nessuno avesse un parente, un amico, o anche un conoscente con falsa pensione di invalidità o impiegato pubblico scalda sedia. Come se nessuno abbia mai chiesto al proprio medico un falso certificato per godere di qualche giorno di immeritato riposo. Come se nessuno abbia mai cercato l’amico nel posto giusto per una raccomandazione o per vincere una gara d’appalto truccata. Tutti smemorati e incolpevoli. Tutti santi, qualche volta poeti, adesso non più navigatori.

E così, immemori del passato e del “familismo amorale”,  rispolveriamo dalla storia la ricorrente voglia catartica che nell’identificazione di alcuni colpevoli, nella loro eliminazione, e nella loro sostituzione si sublima e si legittima nella scelta di novelli Robespierre; i quali saranno a loro volta incorruttibili solo a parole, e dietro la promessa di spazzare via l’”ancien regime”, celeranno sempre la voglia recondita di restaurarlo su misura loro and the family una volta al potere, perpetuando la prigionia senza fine di una girandola senza tempo.

E così l’Italia trova sempre modo di deresponsabilizzarsi, negando il passato, ingannando il presente, uccidendo il futuro.
Su queste basi e su queste finzioni ha edificato, giorno dopo giorno, il suo colossale debito pubblico.
E su queste basi caratteriali ha ceduto la sua sovranità monetaria a un’Unione che nelle intenzioni avrebbe dovuto salvarci, ponendoci al riparo dai capricci dei mercati, sotto la protezione paternalistica dell’Europa calvinista e protestante, per questo più efficiente, salvo accorgerci adesso che non ci ha affatto adottati, né tantomeno intende allargare i cordoni della borsa per coprire i nostri vizi, salvandoci dalla bancarotta.

Ma nel dibattito pubblico e politico non c’è traccia di nessuna seria analisi delle cause sorgenti della situazione attuale.
Non c’è il seppur minimo cenno critico su un impianto della moneta unica che premia, nell’allocazione monetaria e nella distribuzione del capitale, il Paese dall’immagine più efficiente e affidabile, che si tiene ben stretto lo scettro del cuore del sistema finanziario europeo.

E mentre il mondo va per la sua strada noi andiamo per la nostra, lungo la quale si profila lo spettro del default o peggio, perché rischia di abituarci senza coscienza, del profondo mutamento da società aperta e relativamente libera a società misera e sperequata, con tanti poveri e pochi ricchi, membri infelici di una società certamente meno libera e democratica.

                                                                       Enzo Picard