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venerdì 27 aprile 2012

VERSO IL COLLASSO EURO

La crisi delle banche di Spagna e d’Italia, di cui avevamo scritto nel post  “l'implosione dell’euro è nei fatti”, è stata ieri ufficializzata dal declassamento di due gradini della Spagna, operato dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, che prelude al successivo ulteriore downgrade anche del debito sovrano italiano.
Procede l’avvitamento della crisi dell'eurozona avvicinandosi  pericolosamente alla fase di stallo in cui gli eventi rischiano di precipitare.

Le banche spagnole e italiane, e di conseguenza i rispettivi Stati, sono tecnicamente fallite.

La situazione finanziaria europea è davvero giunta quasi al punto di non ritorno. A meno di coraggiose e tempestive decisioni a livello comunitario, improbabili peraltro in piena campagna presidenziale francese, gli eventi rischiano di anticipare qualsiasi utile strategia di contenimento della crisi. Certo nel breve si può contare sugli interventi della Bce sul mercato secondario nel tentativo di limitare il rialzo degli spread. La soglia di allarme rosso è a 500 punti. I cosiddetti firewall sono armi spuntate in partenza vista l’insufficiente dotazione di cui possono disporre in caso di salvataggio di Spagna e ’Italia.

Ormai quasi tutti i Paesi europei patiscono la crisi di liquidità che blocca l’economia. Il denaro non circola all’interno dell’Unione, nonostante il fiume di liquidità fornito alle banche dalla Bce con gli Ltro.

Spagna e Italia hanno perso l'accesso ai capitali per le vie di mercato. Le loro economie stanno collassando per mancanza di liquidità.

L’Europa è bloccata. Il denaro non circola più all’interno del suo circuito economico. E’ crisi di fiducia ormai. Le banche spagnole e italiane hanno difficoltà di funding.
Le banche in Europa non si fidano più l’una dell’altra, come dimostra il record di depositi overnight (circa 780 miliardi di euro) presso la Banca centrale europea. Piuttosto che prestarsi denaro tra loro, o darlo a imprese e famiglie per sostenere consumi e investimenti, preferiscono tenerlo parcheggiato rimettendoci. Questo il segno inequivocabile della gravità della situazione.

L'unico pilastro su cui ancora si reggono in piedi le banche italiane è l'incrollabile fiducia dei depositanti  -ma sono numerosi gli italiani che hanno esportato i capitali all'estero, come dimostrano i numeri del conto dei movimenti del capitale e i consistenti acquisti immobiliari a Londra e in Germania-che ancora gli lasciano in deposito i loro risparmi. E sappiamo che lo stock di risparmio privato degli italiani è tra i più alti del mondo.
Per coprire le esigenze di liquidità nel breve cercano di attirare clienti sui conti deposito, offrendo loro tassi d'interesse allettanti,  attingendo così anche al denaro dei piccoli risparmiatori, unico canale di approvvigionamento rimasto aperto, considerato che la loro capacità di finanziarsi presso la Banca centrale è seriamente compromessa dalla svalutazione delle obbligazioni di Stato da dare in garanzia come collaterale.

Ma nubi ancor più tempestose si addensano nel già oscuro orizzonte italiano.
Le banche del bel Paese, già debilitate dai grossi acquisti di titoli per sostenere il debito pubblico, indebolite dal forte aumento delle sofferenze sui crediti a causa della contrazione economica, potrebbero presto trovarsi ad affrontare anche il crollo dei valori immobiliari.
La manovra di risanamento dei conti che ha istituito il pagamento della tassa patrimoniale sugli immobili (Imu) potrebbe indurre numerosi italiani a mettere sul mercato le seconde e terze case nel duplice tentativo di ottenere liquidità per il pagamento delle rate dell’imposta e sbarazzarsi del tradizionale investimento nel mattone trasformatosi da rifugio in incubo, per gli alti costi di cui è gravato.
Facile prevedere cosa accadrebbe per le banche italiane.

Sembrano inoltre troppo ottimistiche le previsioni di recessione 2012 redatte dal Fondo monetario internazionale quantificate in un calo di 1,9% del Pil.
Tutto lascia prevedere un calo di tipo greco, più che quello delle previsioni ufficiali, considerati i dati sui pesanti effetti depressivi delle manovre di risanamento.

E’ giunto il momento di valutare individualmente le giuste mosse da intraprendere e le scelte da fare per attenuare il più possibile i pesantissimi effetti dello tsunami finanziario ed economico cui sembriamo inesorabilmente andare incontro.
                                             Enzo Picard
                                                            

venerdì 20 aprile 2012

CRISI: IL FUTURO RUBATO

Mentre la situazione precipita inesorabilmente, il Governo continua a ripetere che non siamo la Grecia, che il suo obbiettivo è la crescita (ma di cosa? Delle tasse certamente) e che la colpa della risalita dello spread è della Spagna, della Cina che cresce troppo poco, della Germania che cresce troppo. Tutto ciò mentre i mercati fibrillano per la crisi delle banche.
Proviamo a fare qualche riflessione più profonda estraniandoci da questa quotidiana confusione, fuori dalla portata del fuoco mediatico che uccide ogni giorno la verità.

Non è che non riescano a vedere la soluzione.
Non riescono a vedere il problema. 
  
                                                    G.K. Chesterton


Il punto di svolta visibile furono i giorni seguenti il fallimento della Lehman brothers negli Stati Uniti: il cuore del sistema finanziario globale.

Fu chiaro fin dall’inizio come l’Italia avrebbe affrontato la crisi: negandola.
E quando non fu più possibile negarla, mistificandola. A prescindere dai Governi.

Immaturità e inadeguatezza psicologica di massa sono il fil rouge della storia del contrasto al declino tanto inatteso quanto rapido.
Un declino prima di tutto della ragione di un Paese che non riesce a collegare il presente con il futuro dando il giusto senso al suo passato.

E’ noto che le soluzioni giuste si trovano ponendosi le domande giuste.
Eppure l'unica domanda dilagante nell’opinione pubblica nazionale, quella più diffusa nei nostri patologici media, è: “di chi è la colpa”?
La risposta: "troviamo i colpevoli ed eliminiamoli".
Come se una crisi economica si risolvesse allo stesso modo dei numerosi casi d'omicidio cui siamo tanto abituati nei salotti televisivi.

Così inizia la caccia ai colpevoli, che vengono identificati ora negli evasori -come se lo Stato avesse il diritto di prelevare ai cittadini più di metà del reddito sperperando risorse senza rendere conto delle spese, dando l’impressione di essere insaziabile - ora nei politici, in una caccia alle streghe in cui tutti sembrano perdere la memoria, pronti a giudicare e a condannare.
Come se nessuno avesse mai preferito rinunciare a una fattura o scontrino pur di risparmiare, o nessuno avesse un parente, un amico, o anche un conoscente con falsa pensione di invalidità o impiegato pubblico scalda sedia. Come se nessuno abbia mai chiesto al proprio medico un falso certificato per godere di qualche giorno di immeritato riposo. Come se nessuno abbia mai cercato l’amico nel posto giusto per una raccomandazione o per vincere una gara d’appalto truccata. Tutti smemorati e incolpevoli. Tutti santi, qualche volta poeti, adesso non più navigatori.

E così, immemori del passato e del “familismo amorale”,  rispolveriamo dalla storia la ricorrente voglia catartica che nell’identificazione di alcuni colpevoli, nella loro eliminazione, e nella loro sostituzione si sublima e si legittima nella scelta di novelli Robespierre; i quali saranno a loro volta incorruttibili solo a parole, e dietro la promessa di spazzare via l’”ancien regime”, celeranno sempre la voglia recondita di restaurarlo su misura loro and the family una volta al potere, perpetuando la prigionia senza fine di una girandola senza tempo.

E così l’Italia trova sempre modo di deresponsabilizzarsi, negando il passato, ingannando il presente, uccidendo il futuro.
Su queste basi e su queste finzioni ha edificato, giorno dopo giorno, il suo colossale debito pubblico.
E su queste basi caratteriali ha ceduto la sua sovranità monetaria a un’Unione che nelle intenzioni avrebbe dovuto salvarci, ponendoci al riparo dai capricci dei mercati, sotto la protezione paternalistica dell’Europa calvinista e protestante, per questo più efficiente, salvo accorgerci adesso che non ci ha affatto adottati, né tantomeno intende allargare i cordoni della borsa per coprire i nostri vizi, salvandoci dalla bancarotta.

Ma nel dibattito pubblico e politico non c’è traccia di nessuna seria analisi delle cause sorgenti della situazione attuale.
Non c’è il seppur minimo cenno critico su un impianto della moneta unica che premia, nell’allocazione monetaria e nella distribuzione del capitale, il Paese dall’immagine più efficiente e affidabile, che si tiene ben stretto lo scettro del cuore del sistema finanziario europeo.

E mentre il mondo va per la sua strada noi andiamo per la nostra, lungo la quale si profila lo spettro del default o peggio, perché rischia di abituarci senza coscienza, del profondo mutamento da società aperta e relativamente libera a società misera e sperequata, con tanti poveri e pochi ricchi, membri infelici di una società certamente meno libera e democratica.

                                                                       Enzo Picard

giovedì 19 aprile 2012

Diario della crisi in un giorno d'aprile

Nel black out informativo, teso a evitare situazioni che potrebbero accelerare irreversibilmente la dissoluzione dell’euro, occorre orientarsi singolarmente tenendo gli occhi bene aperti sulla realtà finanziaria attuale per non rischiare di essere colti impreparati dagli eventi.
Come anticipato nel post del 15 aprile c.m., i mercati hanno ieri registrato la difficile situazione dei comparti bancari spagnolo e italiano.
Spagna e Italia procedono, ricalcando il solco già tracciato dalla Grecia verso il default, intrinsecamente contenuto nelle regole assai poco lungimiranti di una moneta unica divenuta causa di squilibri strutturali profondi, che comportano il prosciugamento di liquidità dei Paesi periferici a favore della zona centrale dell’eurozona.
Squilibri ulteriormente aggravati dalle politiche di forte inasprimento fiscale e di austerità imposte dai Governi nel vano tentativo di salvare una permanenza all’interno di un euro la cui disintegrazione è in parte scontata dai mercati, che determinano una drastica contrazione economica in misura ben maggiore di quella delle previsioni. 

Sono a livelli record le sofferenze sui mutui di un Paese che negli anni di crescita tutto aveva puntato sull’immobiliare, settore che contribuiva per quasi a un terzo al Pil nazionale. A ciò vanno aggiunti i deficit delle regioni spagnole anch’essi a livelli record.
Non è molto diversa la situazione delle banche italiane. Solo nel febbraio scorso, a causa della recessione, sono cresciute a circa 107 miliardi le sofferenze sui prestiti bancari, del 16% in un anno.
I mercati stanno giocando al gatto col topo nella loro scommessa contro l’euro. Sono per il momento calmierati dalla consapevolezza che il rischio immediato di crisi sistemica, potrebbe essere momentaneamente scongiurato grazie a potenti iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali determinate a evitarlo a ridosso delle elezioni presidenziali francesi e a pochi mesi da quelle americane.
                                                                                                 Enzo Picard

domenica 15 aprile 2012

L'IMPLOSIONE DELL'EURO ANTICIPATA DAI FATTI

L’Italia continua a essere costantemente un passo, se non due, dietro i mercati nella gestione della crisi.
A questo si aggiunge il timore di una pericolosa crisi bancaria in Italia e Spagna, dagli effetti potenzialmente devastanti.
Dobbiamo ancora aspettarci giorni molto difficili sul fronte dello spread e dei valori azionari dei titoli bancari.

Siamo sull’orlo di una crisi bancaria con un Paese ad alto debito,  costi energetici superiori alla media, un Pil che non cresce, una stretta creditizia già micidiale, quasi la metà delle imprese che falliscono entro i primi cinque anni d’attività, una pressione fiscale stellare, il 93% della spesa pubblica destinata a stipendi, una flessione attesa del Pil di quest’anno del 2% se ci va bene, con un'informazione che getta fumo negli occhi, ventilando improbabili responsabilità per la fin troppo prevedibile nuova impennata dello spread: dal dato sull’occupazione americana al rallentamento del commercio internazionale derivante dal calo della crescita del Pil cinese dall’9% all’ 8%.

Come possiamo nutrire una seria speranza di uscire dalla situazione se cerchiamo le cause e le soluzioni dei nostri problemi all’esterno prima che in noi stessi. E’ un’abitudine consolidata nel tempo e corroborata dall’assenza di una vera Banca centrale che, come la Fed, la Banca d’Inghilterra o persino di Turchia funga da prestatore di ultima istanza.
Troviamo mille cause diverse pur di non adattare il nostro modo di essere soggetto economico al nuovo contesto globale.
La realtà richiede innanzitutto burocrazie agili, veloci e pronte a soddisfare le esigenze dei cittadini, richieste fiscali proporzionate ai servizi offerti e sovranità monetaria per godere i vantaggi della vicinanza al cuore di un sistema.
Proviamo a osservare la situazione da un punto di vista semplice, partendo dai fatti.
Da un anno gli investitori internazionali nutrono forti dubbi sulla capacità dell’Italia di onorare il proprio debito. Ciò è confermato dalle grosse vendite di cui sono stati oggetto i nostri titoli di Stato che determina tre effetti importanti:
1.   Le nostre banche sono costrette ad acquistarne grandi quantità per compensarne le vendite, evitando il default del debito sovrano.
2.   Per farlo si privano di grandi quantitativi di liquidità che finisce per essere sottratta a famiglie e imprese e all’intero circuito economico.
3.   Avere in pancia grosse quantità di questi titoli diventa per loro mortale nel momento in cui diventano tossici quando perdono di valore sul mercato. E' ciò che accade quando cresce lo spread.

Si alimenta così un circolo perverso in cui ciascuno, Stato o banca, si trasforma in causa ed effetto del collasso dell’altro.

Lo spazio di manovra del Governo per il recupero di ulteriori risorse con nuove manovre di inasprimento fiscale è ridotto al minimo (in un Consiglio dei Ministri è stata persino presa in considerazione l’ipotesi di tassare gli sms)così come è improbabile agire sul versante del contenimento della spesa: con il 93% della spesa pubblica destinata a stipendi, nessun taglio incisivo può essere fatto prescindendo da questo dato.
I cosiddetti firewall (fondi salva Stati) sono inefficaci semplicemente perché la loro potenza di fuoco non è adeguata a bloccare l’eventuale incendio di Spagna e Italia, dato che la Germania ha rifiutato l’ipotesi di impiegarvi ulteriori risorse.

Le banche italiane e spagnole sono in difficoltà
Crescono pericolosamente le sofferenze sui mutui in Spagna e quelle sui crediti in Italia; è quasi scontato un ulteriore declassamento dei loro rating, e potrebbero necessitare di una massiccia ricapitalizzazione.
I mercati sono tanto pessimisti sul nostro destino quanto efficaci negli effetti determinati dalla riflessività delle profezie auto avveranti. Non li convinci con l’ottimismo di facciata e senza cambiamenti concreti. L’aver introdotto tasse col solo scopo di rassicurarli sulla nostra immediata solvibilità ha aumentato le probabilità d’insolvenza futura, annichilendo la nostra capacità di contenimento di un’eventuale crisi finanziaria.
Siamo al lumicino delle risorse e un eventuale problema bancario serio costringerebbe, sia l’Italia che la Spagna, a dichiarare il default.
Questa situazione alimenta la speculazione più nociva, quella del mordi e fuggi, e tiene a distanza gli investimenti di lungo periodo, quelli che si fanno in un Paese sano dalle buone prospettive future.
Sul fronte interno il Paese rimane quotidianamente dilaniato da lotte interne di potere combattute con l’informazione e la giustizia, incapace di trovare spunti per accordi utili e condivisi.In un mondo orientato al “problem solving” ogni discussione diventa terreno di scontro tra opposte fazioni che, tra interminabili polemiche, non risolvono mai nulla.

Tutto questo i mercati lo traducono nel loro linguaggio, fatto di borse e di spread. Sono fatti così, semplificano molto, agiscono velocemente e non amano le chiacchiere, tantomeno i pericoli.
Non esitano a trasferire in luoghi più sicuri i capitali ritirandoli dai Paesi ritenuti più pericolosi determinando, in tal modo l’accellerazione di ogni crisi.

La disintegrazione dell’area euro è già scritta nel linguaggio dei mercati.
La borsa di Milano in un anno ha perso circa il 35% del suo valore a fronte dell’’8% di Francoforte.
Oltre lo spread con la Germania lo strappo sui rendimenti dei titoli pubblici si è esteso a Belgio, Austria, Francia e altri ancora.
La rottura dell'euro sta anche nel diverso costo del denaro all'interno dell'Unione. Come possono competere le aziende italiane con quelle tedesche se per loro, oltre ad essere difficile ottenere credito, sono costrette a pagarlo con costi superiori del 4% rispetto alle loro concorrenti tedesche?
Con questi dati la frattura dell’Europa è già sancita dai mercati. 
Per il momento, a meno di eclatanti quanto improbabili novità (come un cambio di approccio alla crisi della Germania riguardo al ruolo della Bce), l’unico baluardo a salvaguardia della moneta unica resta la Bce con la possibilità di mantenerla artificialmente in vita limitando le perdite sui Btp italiani e i Bonos spagnoli con acquisti sul mercato secondario (Securities markets programme) tesi a limitarne la perdita di valore che li renderebbe asset altamente tossici nella pancia delle banche;
Temporaneo giovamento potrebbe giungere nel caso di un ennesimo “quantitative easing” della Fed sempre pronta a inondare il sistema di liquidità, onde evitare qualsiasi problema nell’anno delle elezioni presidenziali.

Questo e altro ci dicono i mercati nel loro linguaggio.
E, non avendo noi una banca centrale per l’emissione di moneta, sanno che solo a loro possiamo attingere. Così decidono se prestarci o no i soldi di cui ha bisogno la nostra economia per funzionare. E, se ce li danno non ce li regalano ma ce li prestano chiedendoci degli interessi proporzionati al rischio che ritengono di correre.
E più non si fidano della nostra capacità di restituirglieli più cari ce li fanno pagare.
E’ così che il Paese con uno dei più grandi stock di ricchezza privata, la seconda industria manifatturiera d’Europa, una tra le più alte propensioni al risparmio privato, la leggendaria inventiva di alcune imprese capaci di penetrare mercati in tutto il mondo, rischia di affondare zavorrato dal mix micidiale di moneta unica e Stato predatorio.

L'eventuale uscita dall'euro della Grecia a seguito di elezioni e/o la crisi bancaria in Spagna, sarebbe il detonatore dell'atto finale della crisi: la brusca accelerazione del fenomeno, già registrato da un anno, di fuga dei capitali dai Paesi deboli dell'eurozona (Italia e Spagna) verso le zone ritenute più sicure del nord Europa. 
I sistemi finanziari ed economici degli Stati già duramente provati dalla crisi di liquidità, non reggerebbero questo ennesimo colpo. Si assisterebbe dunque alla fine della moneta unica con immediata dissoluzione dell'euro e con esso, della libertà di movimento del denaro e delle persone all'interno dell'Unione stessa, sancendo definitivamente il fallimento dell'Europa unita, e avviando un lungo periodo di grave instabilità economico-sociale di cui appare arduo valutare pienamente la portata e gli effetti.


                                                   Enzo Picard

martedì 10 aprile 2012

LIBERARSI DALLA TRAPPOLA EUROPEA PER EVITARE IL SUICIDIO PER DISSANGUAMENTO





Mentre l’effetto della liquidità degli Ltro della Bce con cui le banche hanno fatto incetta di titoli di Stato si va esaurendo, il quadro economico complessivo manifesta segni sempre più gravi di deterioramento, i mercati dubitano sempre più della sostenibilità del debito, e di conseguenza della solidità delle banche che ne hanno la pancia piena.
Assisteremo pertanto alla risalita dello spread con il riacutizzarsi della crisi dei debiti sovrani, e dei titoli bancari.

"L’economia reale è un corpo vivente.
 La finanza è il sistema cardiocircolatorio, con un cuore e le arterie.
 Il denaro è il sangue che scorre e irrora i tessuti.
 Il cuore del sistema europeo è in Germania.
 Se le arterie sono ostruite, il sangue anche se abbondante, non raggiunge    
 gli organi periferici.
 L’Italia è uno degli organi periferici del sistema europeo".
                                                                        Enzo Picard

L’Italia è attanagliata da una insensata stretta monetaria che determina una contrazione di tutta l’attività economica con aumento costante del tasso di chiusura delle imprese e allarmante impennata della disoccupazione.

Assecondare la paranoica Germania nel suo delirio da prima della classe, desiderosa di infliggere austerità e punizioni ai Paesi che considera zavorra mediterranea, è per noi deleterio e potrebbe rovinarci.
Chi ha la responsabilità del destino dell'Italia deve prendere atto del fallimento delle manovre intraprese fin qui per assecondare i tedeschi, manifestando con forza e determinazione le nostre esigenze prima che sia troppo tardi.
I mercati sanno apprezzare nel tempo il coraggio di cambiamenti seri e credibili volti a risolvere le criticità sorgenti, in un’ottica di più lungo periodo.

Il problema principale dell’economia italiana è la contrazione pressoché generalizzata dell’attività economica a causa della stretta di liquidità, oltre che l'aumento dell'imposizione fiscale.
 
Qualsiasi rimedio non può quindi prescindere dal creare condizioni di adeguata offerta monetaria per una rapida ripresa della produzione e dei consumi.
Occorre prima di tutto e con urgenza (come descritto nel post precedente) riallocare il restante 45% del nostro debito nelle mani di investitori esteri, presso risparmiatori domestici, utilizzando il grande stock di ricchezza esistente per mettere (al di là di slogan vuoti:“salvaitalia”, “crescitalia” etc. ) davvero in sicurezza il Paese.
Ciò consentirebbe di svincolarci dalla costante minaccia dello spread per avere la libertà d’azione e la lucidità necessarie a intraprendere con coraggio le decisioni difficili.

Solo dopo questo passo il Governo potrebbe tentare di negoziare, se possibile alla testa di tutta l’eurozona mediterranea, regole e condizioni favorevoli a una più efficiente allocazione della massa monetaria, adattabile alle diverse necessità di ogni singolo Paese europeo. (avrebbe già potuto chiederlo in cambio dell'approvazione del "fiscal compact").
Sono infatti diverse le necessità di Italia e Spagna, alle prese con il credit crunch, dalla Germania a rischio bolla immobiliare causa eccessiva (solo per lei) espansione monetaria.
Espansione monetaria teutonica determinata non solo dalla Bce, ma paradossalmente, anche dalle condizioni di finanziamento notevolmente più vantaggiose dello Stato, delle banche, e delle imprese tedesche, in parte ricavate dallo scetticismo dei mercati sul risanamento e la sostenibilità del debito dei Paesi in difficoltà, che consente loro di attingere al mercato dei capitali a tassi molto più bassi.

Qualora essa dovesse rifiutare un simile accordo, l’Italia avrebbe tutte le ragioni di pianificare un ordinato abbandono della moneta comune, nel modo meno traumatico possibile.

Poi, una volta riassunto il potere di emmettere moneta sarebbe in grado di regolarne l’offerta ponendo fine alla stretta creditizia, favorendo la ripresa dei consumi, stimolando la crescita che renderebbe sostenibile il debito pubblico nel futuro.
A chi potrebbe obbiettare che si tratta della solita via italiana della svalutazione e dell'inflazione, si risponde che attualmente dalla svalutazione si salvano solo le attività finanziarie ma non quelle reali per le quali l'inflazione c'è già: non è tale l'aumento dei prezzi già in atto? Non è inflazione mascherata la costante perdita del potere reale d'acquisto di stipendi e pensioni con cui conviviamo già da tempo?

Colmare le nostre lacune di competitività con l'adesione all'euro, pensando di cancellare il nostro passato di svalutazioni competitive, è stato un grossolano errore. La moneta unica non ci dà un "pasto gratis".

Una politica monetaria più espansiva consentirebbe inoltre di implementare, a carico della fiscalità generale (non come è stato fatto a carico delle bollette dei consumatori), un ambizioso programma di sviluppo delle energie rinnovabili in grado, nella prospettiva di lungo periodo, di rendere il Paese più competitivo su questo fronte con notevole beneficio, dei conti con l’estero.
Il tutto non potrebbe prescindere dall’avviamento di un serio programma di riduzione della spesa pubblica improduttiva, realizzata soprattutto puntando alla riduzione quantitativa dello spropositato numero di dipendenti pubblici, determinando una sensibile contrazione della quota di Pil (attualmente al 52%) intermediata dallo Stato, con ricadute positive sul versante del contenimento dell’inflazione.
Qualsiasi serio e credibile programma di un Governo che voglia davvero traghettare l’Italia verso il futuro, non può prescindere da questo viatico.
Tutto il resto è disinformazione; crudeltà verso tutti gli imprenditori suicidi e i cittadini più in difficoltà.
                                                       Enzo Picard

giovedì 5 aprile 2012

CRISI: Ultima possibilità prima dell'abisso.



La situazione rischia di sfuggire di mano, di avvitarsi in declino socialmente ed economicamente irreversibile.
L'attenzione calamitata dal'ipnotico disgusto di quotidiana e diffusa corruzione nasconde problemi cui la realtà poi ci pone di fronte solo quando fanno capolino mediatico. 
Magari perché lo spread risale oltre i 400 punti. 
E’ giunto il momento delle decisioni forti e risolutive. Non c’è più tempo.
Non possono essere sottovalutati i numerosissimi segnali che giungono a testimoniarci il continuo deterioramento del quadro economico.
Tutto lascia prevedere quest’anno un veloce declino. 
Forte pressione inflattiva sulla scia del pieno dispiegamento degli effetti dell’impennata  dei prezzi di energia, carburanti e iva, ulteriore aumento del tasso di disoccupazione e accelerazione del processo di contrazione dei consumi. Un mix micidiale.
Un girone infernale più tragico della stagflazione anni 70, quando ancora avevamo la potestà monetaria, i salari godevano di meccanismi automatici di adeguamento al costo della vita e la crisi globale era congiunturale ma non sistemica.
L’Italia potrebbe ancora salvarsi. Una soluzione c'è.

E' il momento delle decisioni coraggiose, della ricerca di rimedi non convenzionali come non convenzionale è la crisi che dobbiamo affrontare.
Ogni giorno ci accorgiamo di scivolare verso l'abisso nell’ignavia di una politica incapace di senso pratico, che si crogiola nei privilegi di un benessere tanto residuo quanto effimero. 
Una politica che rinuncia a guardare fuori dalle finestre dei confini nazionali; 
che rinuncia o non vuole volgere lo sguardo verso la storia scolpita fuori dal tempo e dal vento.
Dal vento del cambiamento di fronte al quale preferisce chiudere le finestre per non distogliere lo sguardo da convenienze e vecchie ideologie di un mondo che non c'è più e mai torna uguale. 
Dal vento impetuoso e innovativo alimentato dalla competizione globale, di nuovi popoli desiderosi di ritagliarsi la loro parte di benessere e riscattare un passato di miseria partecipando da protagonisti alla nuova ripartizione del capitale su scala globale.
E dal tempo che decreterà vincitori e sconfitti, civilizzati e miserabili dell'alba della nuova era.
Non c'è cultura senza capitale come non ci sarebbe stato il Rinascimento senza i Medici.
Lascia invece la porta spalancata alle migliori menti costrette a varcarne la soglia per emigrare e ottenere all'estero meriti mai riconosciuti in patria. Porte aperte anche per tutte quelle imprese, cuore pulsante del sistema produttivo, che nella competizione vogliono lottare ma per farlo hanno bisogno di trovare luoghi, persone e infrastrutture che gli permettano di farlo ad armi pari.
Sarà pressoché impossibile recuperare, in tempi ragionevoli, ciò che avremo perduto alla fine di questa crisi, senza uno scatto innovativo e positivo.
Quel tempo e quel vento travolgeranno finestre chiuse ed esistenze umane ponendoci innanzi al disastro del fallimento che ci attende.
Possiamo ancora cambiare il corso degli eventi e della nostra storia tuttavia.

Occorre abbattere immediatamente e drasticamente il debito pubblico.
Dobbiamo farlo adesso che abbiamo ancora (ma per quanto?)le risorse per farlo.
E' il momento di attingere (non espropriare) all’enorme stock patrimoniale che esiste nel nostro Paese, che ammonta a qualche trilione, detenuto dalle famiglie più benestanti.  
E’ una soluzione estrema che se realizzata in unità di intenti attenuerebbe l'impatto dei sacrifici (cuon buona pace della Fornero) fin qui chiesti ai meno abbienti, duramente colpiti dall'aumento del costo della vita e dalle tasse.
Implementata correttamente sarebbe molto meno iniqua dell'imposte fin qui adottate.

Riallocare il debito nelle mani dei risparmiatori italiani. Offrire loro titoli pubblici a tassi inferiori al mercato e pari a quelli tedeschi, in cambio di consistenti vantaggi fiscali e anonimato sulla provenienza del denaro, consentirebbero di prendere i classici due piccioni con una fava.
Da un lato non saremmo più schiavi degli umori mutevoli , dei creditori esteri, che ne detengono ancora il 45% circa; dall’altro il denaro speso per interessi,  di minore importo peraltro, resterebbe all’interno del circuito nazionale migliorando sensibilmente il deficit delle partite correnti.
Se poi queste misure fossero accompagnate da severi programmi di riduzione della spesa pubblica e dalla correzione dei difetti di allocazione della massa monetaria messa a disposizione dalla Bce, la portata sarebbe ancora più grande.
Sarebbe una soluzione senza falsi moralismi col grande vantaggio di ottenere lo spontaneo contributo alla salvezza dello Stato, da parte di tutti, anche di coloro che con l'evasione si sono arricchiti in passato.
Emergerebbe una montagna di liquidità che migliaia di finanzieri sguinzagliati sul teatro mediatico delle località più rinomate, mai potrebbero recuperare. Dubitiamo oltretutto dell'effettiva validità di operazioni dal sapore propagandistico il cui unico e probabile effetto è far trasferire all'estero parte dei consumi, con doppia perdita di ricchezza a livello nazionale: una perchè in Italia gli illeciti guadagni sono stati fatti; due perché se spesi fuori impoveriscono ulteriormente il nostro sistema già stretto nella morsa del credit crunch.

Troveremo mai un accordo su basi del genere per non affondare?
                                         
                                                                      Enzo  Picard

martedì 3 aprile 2012

Che fine farà l'Italia?

Dispiace notare che solo adesso l’informazione abbia preso atto della situazione di coma del Paese, dopo tre mesi di cura Monti.
Ciò che avevamo pensato al varo della prima manovra del Governo Monti, realizzata sull'onda emotiva di un Paese terrorizzato dall’ascesa irrefrenabile dello spread, improvvisamente assurto a protagonista delle cronache  solitamente distratte dei Tg.

E’ triste dirlo e ancor più ammetterlo:
la politica economica del governo guidato dal professor Mario Monti, ci sta conducendo al fallimento o bene che vada al declino definitivo del sistema economico del nostro Paese.
 
A circa tre mesi si manifestano, in tutta la loro gravità, i primi effetti recessivi  della manovra varata in dicembre.  
Segnali che diventeranno un vero e proprio terremoto dopo l’estate, con la stangata del pagamento dell’Imu e gli effetti del secondo aumento dell’iva in settembre, quando i conti pubblici dovranno ancora essere corretti per adeguarli alle minori entrate fiscali che la forte contrazione dei consumi e dei redditi avrà determinato nelle casse dello Stato.
Accelerando, in tal modo, quel processo perverso e distruttivo, innescato lo scorso anno che partendo dal maggiore deficit, passa per l'aumento delle tasse e finisce nella depressione economica.
Un meccanismo, già sperimentato dalla Grecia che sappiamo dove conduce.
Anche sotto l’aspetto della comunicazione Monti comincia a somigliare al suo predecessore.
L’inflazione rialza prepotentemente la testa, il prezzo dei carburanti e dell’energia sale alle stelle, la disoccupazione è ai massimi, le vendite di auto crollano, si moltiplicano i casi di imprese e famiglie strette nella morsa della crisi di liquidità e mass media e Governo cantano vittoria, dichiarando finita una crisi ormai alle spalle, con l’Italia trasformata da problema in soluzione della crisi, dopo il tocco della bacchetta magica del nuovo Governo.

Ci si chiede:
“Ci raccontano il mondo che viviamo?”;
Forse che le potenti iniezioni di liquidità fornite dalla Bce al sistema bancario sull’orlo del collasso, che sono la vera causa determinante per il calo dello spread, hanno avuto l’effetto di ingannare sul reale stato della crisi, avendo determinato un calo artificiale dello spread.
Le lodi sul Governo Monti, cantate su tutti i mass media sembrano davvero fuori luogo e fuori dalla realtà, giustificate solo dalla necessità di dare un pò di sostegno morale all'Italia, ritenuta un'economia "too big too fail".’Italia. Il suo default potrebbe avere conseguenze globali di difficile valutazione preventiva.
Si, perché la situazione è questa. Nasconderselo non serve a nulla, se non a evitare di prendere le decisioni, anche fortemente impopolari, di drastico abbattimento del debito, agendo sul difficile versante della riduzione di spesa, che solo un Governo tecnico senza pretese elettorali, potrebbe prendere.
Invece, dopo essere partito a razzo sul fronte dell’aumento delle entrate con inasprimento fiscale realizzato tramite imposte indirette  che penalizzano i meno abbienti, a maggiore impatto inflattivo e di compressione dei consumi, il Governo cincischia, tra un infelice dichiarazione e l’altra, su riforme, come l’articolo 18, rilevanti ma non risolutive sul fronte dell’appetibilità del sistema Paese per le imprese multinazionali, a caccia  di territori convenienti dove impiantare nuove imprese e creare posti di lavoro.
Oltretutto su questo tema, i buoi sono già scappati;
da anni è in atto un processo di delocalizzazione produttiva delle imprese italiane verso l’estero spossate, più che dall'articolo 18, da una burocrazia asfissiante e feudale e da uno Stato fin troppo esoso nelle sue pretese fiscali con chi vuole essere in regola, oltre che attratte dal minor costo del lavoro (dovuto anche al minor carico fiscale che su di esso grava pressoché ovunque, ma questa è un’altra storia).
Semra che ormai in Italia abbiamo perso l'abitudine alla verità.
Enzo Picard.