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mercoledì 27 giugno 2012

L'IMPLOSIONE DELL'EURO NON CI SARA'. LO SCENARIO FUTURO


La paura può essere un ottimo collante
L'euro non imploderà. Sarà la paura di una crisi sistemica globale a salvarlo. Per cui nessuno dei leader al vertice, nel quale saranno prese le decisioni destinate a tracciare le linee del futuro dell'Unione Europea, consapevole del pericolo di tale evenienza, vorrà correre il rischio di provocarla. Tuttavia l'accordo raggiunto sarà il minimo sufficiente ad evitare l'evento traumatico e procedere sulla via di una maggiore integrazione economica e politica.
Non assisteremo a misure risolutive della crisi, per quelle ci vorrà tempo e fiducia tra i membri dell’Unione, ma volte nell’immediato, a mettere in sicurezza il sistema bancario e con esso l’euro, con una sorta di garanzia comune dei depositi e accentramento della sorveglianza degli istituti di credito a livello comunitario. Si troverà anche un accordo concernente l’unione fiscale e verrà stilata una road map per scandire il processo di unione delle politiche economiche destinato, se tutto andrà bene, a condurre nel giro di alcuni anni verso un'unione politica ed economica, legando così indissolubilmente, per la prima volta nella storia, la sorte di popoli in passato in conflitto tra loro.
In ogni caso non è da escudere, il commissariamento dell'Italia, presto costretta a chiedere ufficialmente aiuto alla troika, qualora non ottenga misure immediatamente idonee a un immediato e corposo abbattimento dello spread. 

Il compromesso.
Naturalmente, per il momento, sarà evitato accuratamente dalla Germania qualsiasi meccanismo (eurobond) di mutualizzazione reciproca dei debiti pubblici, mantenendo in tal modo elevata la pressione degli spread – situazione gradita alla Germania convinta, non a torto, che solo sotto la minaccia costante dei mercati, pendente come una spada di Damocle sulla testa, Italia, Grecia e Spagna, saranno capaci di intraprendere i cambiamenti necessari per lo sviluppo e la permanenza di lungo periodo all'interno della moneta unica. La minaccia sarà probabilmente mitigata dalla possibilità data ai fondi salva stati di acquistare titoli pubblici dei Paesi più deboli per sostenerne il valore e contenerne i rendimenti. E attaverso finanziamenti da impiegare in investimenti per la crescita.

Il declino
Di fatto, il vertice sarà un'incontro in cui verrà delineata l'Europa del nuovo secolo, in cui l'Italia, reduce da un ventennio di follia politica ed economica, sempre incapace di intraprendere autonomamente qualsiasi riforma utile, sarà costretta a trattare con tedeschi e francesi da una posizione di estrema debolezza, con un governo tecnico, temi inerenti le cessioni di sovranità e i rapporti di forza all'interno dell'Unione. Cosa possiamo aspettarci di ottenere in simili condizioni al tavolo dei negoziati?
Questo è solo l'ultimo tassello che va ad aggiungersi alla recente richiesta dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina) di ricoprire cariche all'interno del Fondo monetario internazionale, in cambio dei finanziamenti loro richiesti per soccorrere l'Europa. Dovrà essere ceduto loro il posto di qualche membro dell'Unione, non è difficile indovinare quale possa essere.
Stiamo dunque perdendo il ruolo internazionale duramente conquistato nel secolo scorso in Europa e nel mondo, nella totale disattenzione dell'opinione pubblica, senza un dibattitto politico e senza che i cittadini ne abbiano contezza.
Presto saremo ridotti al rango di Paese inferiore sulla scena internazionale, la cui appartenenza all' euro sarà più formale che sostanziale.
Stiamo per essere posti ai margini dell'Europa e del Fondo monetario internazionale, relegati a un ruolo di dipendenza rispetto agli altri Paesi, esclusi dagli organi decisionali dei massimi organi mondiali dove si misura la capacità d'influenza di una nazione. Della perdita di prestigio cui stiamo andando incontro ne abbiamo avuto un assaggio nelle vicende Battisti con il Brasile, nella guerra in Libia, i marò in India di cui non parla più, gli ostaggi uccisi in Nigeria senza preavviso dagli inglesi in un blitz.
La perdita dello status di media potenza economica e industriale è il conto che quindici anni di annichilimento politico, culturale e mediatico, ci hanno lasciato da pagare e con cui progressivamente dovremo abituarci a convivere, in un mondo in continua evoluzione, dove, sulla capacità d'accesso alle fonti energetiche,  sull'evoluzione tecnologica e sulla preparazione culturale, si giocherà un futuro più o meno florido di ciascun Paese. Tutti campi dove noi italiani abbiamo posto le basi per esserne esclusi. E' doveroso aggiungere anche che, minor prestigio e capacità d'infuenza, comportano l'impossibilità di dare il proprio contributo secondo le proprie idee, su problemi quali l'ambiente, una più equa distribuzione della ricchezza e il mantenimento della pace. Tutti temi sui quali, chi prenderà il nostro posto, non è affatto detto possa avere proposte migliori delle nostre.

La promessa implicita.
Per questo sarà bene non farsi facili illusioni a vertice concluso.
I nostri problemi urgenti, primo tra tutti l’eccesso di spesa pubblica, resteranno tutti in attesa di essere affrontati e risolti. E se non provvederemo a farlo da soli, tra qualche tempo ci troveremo nuovamente sulla graticola.
Non esistono scorciatoie, dentro o fuori dall'euro, se non verrà per tempo ridimensionata l’insostenibile spesa pubblica del nostro Stato, non saremo più in grado di permanere nella moneta unica e, se ne uscissimo, non cambierebbe nulla. Per un Paese come il nostro, privo di materie prime, sarebbe impossibile competere a livello internazionale, con una moneta priva della reputazione indispensabile - come per esempio quella della sterlina - per continuare ad avere la capacità di attingere, potendoli pagare, agli approvviggionamenti energetici, a causa delle inevitabili e costanti svalutazioni che seguirebbero l'abbondante offerta di moneta necessaria a finanziare l'eccesso di spesa pubblica. 

La realtà internazionale
Il mondo negli ultimi vent’anni, al di fuori dei nostri confini, è mutato profondamente. La competizione commerciale, sulla quale si gioca il livello di vita tra i diversi Paesi e continenti si è fatta dura. Non esiste più la realtà di un manipolo di Paesi del primo mondo con alto tenore di vita e possibilità di sprechi.
Oggi, interi continenti avanzano spediti sulla strada dello sviluppo, ciascuno cercando di essere competitivo come meglio può. Imboccando la strada dello sviluppo e della crescita a seconda delle proprie possibilità.
Ci sono Paesi come la Russia che fanno leva sulla loro disponibilità di materie prime, altri, come la Cina, che per migliorare hanno puntato tutto sul basso costo del lavoro, sacrificando in tal modo diritti e salute dei lavoratori, per riuscire a esportare quanto più possibile per arricchirsi giorno dopo giorno.
C’è poi la Germania  -a mio avviso e a dispetto anche degli americani, sui quali ci sarebbe molto da discutere sul loro modo di finanziare una crescita, troppo incentrata e troppo dipendente su una politica monetaria espansiva senza precedenti e sul ruolo principe del dollaro di moneta universalmente accettata negli scambi internazionali, per essere sana e duratura. Fermo restando che, in ogni caso, resta il Paese con le migliori università del mondo, i centri di ricerca tecnologica più avanzati, una mentalità tutto sommato vincente e la forza militare più potente, tutti elementi che non vanno sottovalutati-  tra i pochi Paesi al mondo, insieme a Finlandia e Danimarca, ad essere riuscita a coniugare armoniosamente crescita economica, grande e autentico rispetto per l’ambiente, elevati standard sociali e retributivi per i lavoratori, equa distribuzione della ricchezza e sviluppo tecnologico d’avanguardia.

La scelta
Noi come italiani dobbiamo scegliere a quale modello intendiamo ispirarci. Fatta la scelta, con coerenza dobbiamo operare i cambiamenti utili a proiettarci verso il futuro desiderato. Non c'è più tempo da perdere in discussioni infinite e insensate, o peggio dietro ai demagoghi di turno che sempre più numerosi faranno capolino sulla scena nazionale. Questa sarà la sfida da affrontare, dandoci le risposte giuste e scegliendo tramite chi e con quale classe politica vogliamo agire.
Sono gli stessi temi su cui riflette chi ci osserva, dovendo operare scelte d'investimento come i mercati, o dovendo decidere se procedere sul cammino europeo del futuro con o senza di noi.
Dalle risposte che noi ci daremo e da quelle che gli altri su di noi si daranno, dipenderà il nostro destino.
Sapremo resistere al richiamo seducente delle sirene? Quelle pronte a suggerire, come già pretendono dall’Unione Europea, la monetizzazione del debito illudendosi e illudendo di risolvere problemi annosi e strutturali semplicemente stampando moneta, accendendo la miccia dell'inflazione galoppante che conduce velocemente nel baratro del sottosviluppo e della miseria?
Si perché occorre aver chiaro che, per come è strutturato adesso il sistema mondiale –e non è detto che io ritenga sia il migliore possibile, ma questo è un altro discorso- e per le crescenti aspettative di numerosi popoli, reduci da un passato di sottosviluppo, legittimamente aspiranti a condizioni di vita migliori, la distanza che separa il gruppo di testa da quello di coda è equivalente alla capacità produttiva, commerciale e di tenuta democratica sostenute da un adeguato sistema economico e burocratico, con giusta ripartizione delle risorse, senza sprechi e inefficienze, in cui le conquiste in tema di lavoro (quello vero) e stato sociale vengono salvaguardate.

La nostra salvezza
Nessuno potrà salvarci se non molleremo l'abbraccio mortale con la cultura del falso assistenzialismo, anticamera di corruzione e clientelismo, continuando a costringere la parte più produttiva e operosa del Paese a mantenere un esercito di lavoratori pubblici troppo numerosi, spesso svogliati e demotivati dunque inutili membri di un apparato burocratico fine a se stesso, per nulla animato dalla voglia di rendersi utile alla collettività.  
Essi rappresentano un costo economico e sociale, esagerato per la comunità. Non è sostenibile continuare a mantenere una massa di finti lavoratori, impiegati in finti lavori. I primi ad essere insoddisfatti di questa situazione sono proprio loro, in moltissimi casi costretti a ricercare in diverse forme, il tentativo di dare un senso alla loro vita.
Certo, non vanno e non possono essere sottovalutati gli insostenibili disagi del licenziamento repentino, come già accaduto in Grecia, di un così grande numero di persone senza rischiare  di aggravare la recessione in corso e il rispetto che si deve per delle esistenze comunque sottoposte a uno stress psicologico cui non sono abituate.
Ma, proprio per risolvere questo problema devono essere usate le armi a disposizione della politica monetaria espansiva di Keynesiana memoria. Si può fare, predisponendo un adeguato piano di riconversione e riqualificazione professionale, finanziato dallo Stato, che se seriamente pianificato, potrebbe anche riscuotere l'approvazione della Comunità Europea. Ad esempio con l’indebitamento o con l’aumento dell'offerta di moneta, in questo caso entrambi benefici, in quanto risorse destinate a vero sviluppo - specie se fossero formati per svolgere mansioni nel campo delle energie pulite, nella progettazione e realizzazione di un grande piano nazionale di messa in sicurezza del territorio da calamità naturali piuttosto che nel contenimento dell'impatto ambientale degli edifici e delle città e tanto altro- dai lunghi orizzonti e di sicuro effetto positivo sulla reputazione.

Il riscatto nazionale dopo il danno
Questo è il viatico con cui riscattarci dagli anni bui, degli eccessi e delle follie all'ombra di una cappa apparentemente patinata, in realtà oscura e fumosa.
Anni in cui ci siamo allontanati troppo pericolosamente dalle condizioni di equilibrio che garantiscono il buon funzionamento di un’economia liberale e democratica. Dove lo sviluppo economico deve essere sano e non drogato. 
Anni in cui sono state messe in atto, da noi più che altrove, a causa di un’anomala concentrazione del potere televisivo mediatico, le tecniche di comunicazione più avanzate che hanno consentito, a chi se ne è servito, di poter mantenere per troppo tempo un costante divario tra ciò che prometteva, ciò che faceva e ciò che si sapeva. Riuscendo, in tal modo, ad eludere la punizione elettorale che insieme a una libera informazione, è baluardo irrinunciabile di una sana democrazia. 
Questo gioco è stato troppo facile per chi, potendo disporre di una cassa di risonanza mediatica senza eguali nel mondo, ha potuto sedurre una fetta troppo grande di elettori dicendo loro esattamente ciò che volevano sentirsi dire, avvalendosi di sondaggi d’opinione quotidiani. Creando con ciò un'artificiosa corrispondenza tra le sue promesse e le aspettative degli elettori, altamente dannosa perché, non avendo mai ottenuto nella realtà quanto promesso e da loro desiderato, ha finito per farli sentire ingannati, alimentando a dismisura delusione profonda, sfiducia nel sistema e voglia di rivalsa tramite l'appoggio all'antipolitica e al giustizialismo.
Danni questi di portata incalcolabile, con i quali saremo chiamati a fare i conti a lungo nel futuro in termini di tenuta sociale e democratica.
C'è anche questa nuova sorgente di instabilità nella valutazione dei mercati e nei tassi d'interesse che paghiamo sul debito pubblico.

Mercati, moralità e sua rilevanza economica
I mercati sono amorali per definizione, tuttavia attenti ad essa nel momento in cui diventa economicamente rilevante. 

Il "fattore culturale" discriminante rilevante nella valutazione
Nei loro sofisticati calcoli è perfettamente compreso perfino il  “fattore culturale” da essi immediatamente identificato quale possibile elemento in favore del rafforzamento dell’aspettativa di implosione della moneta unica.
Credo che per chiarire efficacemente quale sia esattamente questa discriminante culturale che distingue gli europei del nord da quelli del sud, sia utile indicare un esempio pratico, con una piccola premessa.
La premessa è che la forza centripeta all’interno dell’Unione europea sia la non volontà dei tedeschi (sfiducia) di condividere il nostro enorme debito pubblico. Essi sono terrorizzati alla sola idea di dover pagare di tasca loro per gli sprechi altrui.
Per comprendere questo loro sentimento, più appartenente alla sfera caratteriale che economica, è sufficiente recarsi con loro a cena al ristorante.
Chiunque abbia avuto occasione di farlo, sa benissimo che per loro, a fine pasto, lauto o austero che sia stato, è normalissimo chiedere un conto per ciascuno dei commensali.  Il cameriere, peraltro, non fa una grinza nel calcolare individualmente l'importo dovuto e consegnare a ognuno la relativa ricevuta con l'eventuale resto.
Possiamo ben comprendere in quale confusione li mettiamo chiedendogli di condividere con noi, dilapidatori pubblici globalmente conclamati, visto che siamo riusciti a edificare il secondo debito del mondo pur non essendo la seconda economia del mondo e neanche il secondo Paese per numero di abitanti, il nostro debito pubblico.

C'è tutto questo e tanto altro nelle valutazioni dei mercati.

                                                                                    Enzo Picard

lunedì 18 giugno 2012

E' EFFIMERO L'ENTUSIASMO SULLA GRECIA

La prevedibile euforia con cui i mercati saluteranno l’esito delle elezioni in Grecia non deve trarci in inganno riguardo l’esito finale della crisi dell’area euro. Essa è ben lungi dall'essere risolta. 
Sebbene si sia evitato l’esito imminente e traumatico dell’uscita immediata del Paese ellenico dalla moneta unica, restano intatti i problemi strutturali di fondo alla base delle attuali difficoltà in Europa.

Essa resta ancora un soggetto finanziario infartuato, con la liquidità che non circola tra i Paesi e soprattutto tra le banche dell’Unione. Insoluti sono ancora i problemi inerenti la crisi dei bilanci delle banche dei Paesi più esposti. Il calo del valore dei titoli di Stato sul mercato secondario,  l’enorme esposizione, pari a circa un terzo del Pil, delle banche iberiche sul fronte dei crediti immobiliari, il preoccupante aumento delle sofferenze su crediti di quelle italiane seguito alla forte contrazione economica dopo le misure d’austerità varate dal Governo e l'emorragia di liquidità di chi, non fidandosi, ha provveduto o sta provvedendo a drenare soldi verso porti più sicuri, provocano serie perplessità sulla tenuta dei loro bilanci.
Irrisolte sono ancora le sorgenti di crisi  in tema di differenze di competitività tra Paesi, causa del costante e progressivo impoverimento dei Paesi più arretrati nei confronti di quelli, la Germania per prima, con una struttura economica e burocratica più efficiente.

La volontà dei greci di permanere nell’euro è solo apparente. Analizzando le differenti posizioni dei partiti vincitori, Nova Demokratia e Pasok, non si leggono affatto intenzioni serie di intraprendere quei cambiamenti strutturali, che potrebbero rilanciare in modo duraturo l'economia del loro Paese.
Essi manifestano la volontà di permanere nell'euro, ma non quella di aggredire nessuno dei grossi problemi che li affliggono.
Per convincere la Germania a spendere risorse per loro e i mercati della sostenibilità della loro struttura economica, dovrebbero infatti, implementare un drastico ridimensionamento della macchina statale e della corruzione, per snellire la spesa pubblica, rendendola compatibile con le dimensioni dell' economia. 
In questo senso nessuno dei partiti vincitori prevede o ha in programma simili misure, anche perché sarebbero duramente contrastate da tante forze interne e trasversali a loro stessi, oltreché manifestamente impopolari in un Paese in cui, una parte troppo grande di cittadini, è da lungo abituata a pensare di avere il diritto di ricevere uno stipendio per il solo fatto di recarsi in un ufficio pubblico a timbrare il cartellino, a prescindere dalla reale utilità della mansione che svolge. Fin quando permarranno queste disfunzioni la loro amministrazione finanziaria sarà sempre in deficit, con la perenne necessità di indebitarsi per andare avanti.

In poche parole i greci vogliono restare in Europa, ma intendono farlo a modo loro, continuando a dipendere ed essere mantenuti dall'Europa e dai mercati cui si rivolgono per attingere risorse.
Naturalmente tutto questo i tedeschi lo sanno e sarà difficile che siano disposti a soddisfare tale aspettativa, solo per sfuggire al ricatto implicito e sottostante della catastrofe finanziaria seguente l’eventuale disgregazione dell’euro, che un'eventuale uscita della Grecia innescherebbe. Anche perché, se lo facessero per la Grecia, perché non dovrebberlo poi farlo per tutti quei Paesi che, all'ombra della moneta unica, coltivano vizi e inefficienze.

                                                                              Enzo Picard