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domenica 15 aprile 2012

L'IMPLOSIONE DELL'EURO ANTICIPATA DAI FATTI

L’Italia continua a essere costantemente un passo, se non due, dietro i mercati nella gestione della crisi.
A questo si aggiunge il timore di una pericolosa crisi bancaria in Italia e Spagna, dagli effetti potenzialmente devastanti.
Dobbiamo ancora aspettarci giorni molto difficili sul fronte dello spread e dei valori azionari dei titoli bancari.

Siamo sull’orlo di una crisi bancaria con un Paese ad alto debito,  costi energetici superiori alla media, un Pil che non cresce, una stretta creditizia già micidiale, quasi la metà delle imprese che falliscono entro i primi cinque anni d’attività, una pressione fiscale stellare, il 93% della spesa pubblica destinata a stipendi, una flessione attesa del Pil di quest’anno del 2% se ci va bene, con un'informazione che getta fumo negli occhi, ventilando improbabili responsabilità per la fin troppo prevedibile nuova impennata dello spread: dal dato sull’occupazione americana al rallentamento del commercio internazionale derivante dal calo della crescita del Pil cinese dall’9% all’ 8%.

Come possiamo nutrire una seria speranza di uscire dalla situazione se cerchiamo le cause e le soluzioni dei nostri problemi all’esterno prima che in noi stessi. E’ un’abitudine consolidata nel tempo e corroborata dall’assenza di una vera Banca centrale che, come la Fed, la Banca d’Inghilterra o persino di Turchia funga da prestatore di ultima istanza.
Troviamo mille cause diverse pur di non adattare il nostro modo di essere soggetto economico al nuovo contesto globale.
La realtà richiede innanzitutto burocrazie agili, veloci e pronte a soddisfare le esigenze dei cittadini, richieste fiscali proporzionate ai servizi offerti e sovranità monetaria per godere i vantaggi della vicinanza al cuore di un sistema.
Proviamo a osservare la situazione da un punto di vista semplice, partendo dai fatti.
Da un anno gli investitori internazionali nutrono forti dubbi sulla capacità dell’Italia di onorare il proprio debito. Ciò è confermato dalle grosse vendite di cui sono stati oggetto i nostri titoli di Stato che determina tre effetti importanti:
1.   Le nostre banche sono costrette ad acquistarne grandi quantità per compensarne le vendite, evitando il default del debito sovrano.
2.   Per farlo si privano di grandi quantitativi di liquidità che finisce per essere sottratta a famiglie e imprese e all’intero circuito economico.
3.   Avere in pancia grosse quantità di questi titoli diventa per loro mortale nel momento in cui diventano tossici quando perdono di valore sul mercato. E' ciò che accade quando cresce lo spread.

Si alimenta così un circolo perverso in cui ciascuno, Stato o banca, si trasforma in causa ed effetto del collasso dell’altro.

Lo spazio di manovra del Governo per il recupero di ulteriori risorse con nuove manovre di inasprimento fiscale è ridotto al minimo (in un Consiglio dei Ministri è stata persino presa in considerazione l’ipotesi di tassare gli sms)così come è improbabile agire sul versante del contenimento della spesa: con il 93% della spesa pubblica destinata a stipendi, nessun taglio incisivo può essere fatto prescindendo da questo dato.
I cosiddetti firewall (fondi salva Stati) sono inefficaci semplicemente perché la loro potenza di fuoco non è adeguata a bloccare l’eventuale incendio di Spagna e Italia, dato che la Germania ha rifiutato l’ipotesi di impiegarvi ulteriori risorse.

Le banche italiane e spagnole sono in difficoltà
Crescono pericolosamente le sofferenze sui mutui in Spagna e quelle sui crediti in Italia; è quasi scontato un ulteriore declassamento dei loro rating, e potrebbero necessitare di una massiccia ricapitalizzazione.
I mercati sono tanto pessimisti sul nostro destino quanto efficaci negli effetti determinati dalla riflessività delle profezie auto avveranti. Non li convinci con l’ottimismo di facciata e senza cambiamenti concreti. L’aver introdotto tasse col solo scopo di rassicurarli sulla nostra immediata solvibilità ha aumentato le probabilità d’insolvenza futura, annichilendo la nostra capacità di contenimento di un’eventuale crisi finanziaria.
Siamo al lumicino delle risorse e un eventuale problema bancario serio costringerebbe, sia l’Italia che la Spagna, a dichiarare il default.
Questa situazione alimenta la speculazione più nociva, quella del mordi e fuggi, e tiene a distanza gli investimenti di lungo periodo, quelli che si fanno in un Paese sano dalle buone prospettive future.
Sul fronte interno il Paese rimane quotidianamente dilaniato da lotte interne di potere combattute con l’informazione e la giustizia, incapace di trovare spunti per accordi utili e condivisi.In un mondo orientato al “problem solving” ogni discussione diventa terreno di scontro tra opposte fazioni che, tra interminabili polemiche, non risolvono mai nulla.

Tutto questo i mercati lo traducono nel loro linguaggio, fatto di borse e di spread. Sono fatti così, semplificano molto, agiscono velocemente e non amano le chiacchiere, tantomeno i pericoli.
Non esitano a trasferire in luoghi più sicuri i capitali ritirandoli dai Paesi ritenuti più pericolosi determinando, in tal modo l’accellerazione di ogni crisi.

La disintegrazione dell’area euro è già scritta nel linguaggio dei mercati.
La borsa di Milano in un anno ha perso circa il 35% del suo valore a fronte dell’’8% di Francoforte.
Oltre lo spread con la Germania lo strappo sui rendimenti dei titoli pubblici si è esteso a Belgio, Austria, Francia e altri ancora.
La rottura dell'euro sta anche nel diverso costo del denaro all'interno dell'Unione. Come possono competere le aziende italiane con quelle tedesche se per loro, oltre ad essere difficile ottenere credito, sono costrette a pagarlo con costi superiori del 4% rispetto alle loro concorrenti tedesche?
Con questi dati la frattura dell’Europa è già sancita dai mercati. 
Per il momento, a meno di eclatanti quanto improbabili novità (come un cambio di approccio alla crisi della Germania riguardo al ruolo della Bce), l’unico baluardo a salvaguardia della moneta unica resta la Bce con la possibilità di mantenerla artificialmente in vita limitando le perdite sui Btp italiani e i Bonos spagnoli con acquisti sul mercato secondario (Securities markets programme) tesi a limitarne la perdita di valore che li renderebbe asset altamente tossici nella pancia delle banche;
Temporaneo giovamento potrebbe giungere nel caso di un ennesimo “quantitative easing” della Fed sempre pronta a inondare il sistema di liquidità, onde evitare qualsiasi problema nell’anno delle elezioni presidenziali.

Questo e altro ci dicono i mercati nel loro linguaggio.
E, non avendo noi una banca centrale per l’emissione di moneta, sanno che solo a loro possiamo attingere. Così decidono se prestarci o no i soldi di cui ha bisogno la nostra economia per funzionare. E, se ce li danno non ce li regalano ma ce li prestano chiedendoci degli interessi proporzionati al rischio che ritengono di correre.
E più non si fidano della nostra capacità di restituirglieli più cari ce li fanno pagare.
E’ così che il Paese con uno dei più grandi stock di ricchezza privata, la seconda industria manifatturiera d’Europa, una tra le più alte propensioni al risparmio privato, la leggendaria inventiva di alcune imprese capaci di penetrare mercati in tutto il mondo, rischia di affondare zavorrato dal mix micidiale di moneta unica e Stato predatorio.

L'eventuale uscita dall'euro della Grecia a seguito di elezioni e/o la crisi bancaria in Spagna, sarebbe il detonatore dell'atto finale della crisi: la brusca accelerazione del fenomeno, già registrato da un anno, di fuga dei capitali dai Paesi deboli dell'eurozona (Italia e Spagna) verso le zone ritenute più sicure del nord Europa. 
I sistemi finanziari ed economici degli Stati già duramente provati dalla crisi di liquidità, non reggerebbero questo ennesimo colpo. Si assisterebbe dunque alla fine della moneta unica con immediata dissoluzione dell'euro e con esso, della libertà di movimento del denaro e delle persone all'interno dell'Unione stessa, sancendo definitivamente il fallimento dell'Europa unita, e avviando un lungo periodo di grave instabilità economico-sociale di cui appare arduo valutare pienamente la portata e gli effetti.


                                                   Enzo Picard

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